Educazione e parità di genere: il lavoro di cura al centro della ripartenza

Abbiamo intervistato Maddalena Vianello, professionista nella progettazione e organizzazione culturale, esperta di pari opportunità e violenza di genere. Curatrice del blog Femministerie, organizzatrice di inQuiete, Festival di scrittrici a Roma. 

  • La ripartenza post emergenza Coronavirus non può prescindere da una maggiore condivisone del lavoro di cura tra i genitori. Qual è la situazione in Italia oggi? 

Prendiamo in considerazione i dati prima di partire: gli uomini in Italia dedicano in media meno del 40% del proprio tempo al lavoro di cura - ovvero a tutte le attività che contribuiscono al benessere del nucleo famigliare - le donne invece impegnano il 75% del loro tempo, quasi il doppio.


Aggiungiamo inoltre lo spaccato sull’istruzione e il lavoro e il gender gap che ad oggi evidenziamo: in Italia le donne pur raggiungendo livelli di istruzione superiori, sono più precarie e meno pagate, e in Italia il gender pay gap - la differenza salariale tra uomini e donne di pari livello lavorativo - è pari al 17,8%, questo significa che le donne sono in media retribuite meno. Si aggiunge poi che spesso le donne sono più soggette al part time involontario e dopo l’arrivo dei figli spesso si vedono costrette ad abbandonare il mondo del lavoro a causa di un sistema di welfare insufficiente.


Questi dati ci restituiscono un quadro preciso. Il lavoro di cura ricade principalmente sulle spalle delle donne; avere dei figli il più delle volte impone di scegliere fra maternità e lavoro retribuito, influenzando in maniera profonda le scelte procreative delle donne che, infatti, in Italia di figli ne fanno ormai pochissimi. 


Nella gestione familiare il reddito delle donne - quando c’è - è il primo ad essere messo in discussione perché secondario sul piano economico e spesso precario, così si rafforza inevitabilmente il modello che vede l’uomo come unico procacciatore di reddito (breadwinner).

  • Come la coppia genitoriale può divenire parte di un processo di cambiamento?

 
Il modello appena citato è spesso quello che le bambine e i bambini osservano, incamerano e su cui costruiscono le aspettative di funzionamento sociale che andranno a replicare. Battersi per la democrazia paritaria contribuisce a disegnare un mondo, libero dagli stereotipi, che insegni ai bambini a rispettare le proprie coetanee e alle bambine ad andare lontano quanto la loro immaginazione può portarle.


La parità effettiva è spesso distante in molte famiglie. Redistribuire in modo pratico il lavoro di cura, dove i genitori si suddividono al 50% è un obiettivo anche educativo: un figlio o una figlia che osserva un papà stirare e fare il bagnetto, oltre che telefonare per lavoro e mandare email, e una mamme alle prese con il lavoro e le riunioni, oltre che con le faccende domestiche - non insegnerà loro che il primo porta a casa lo stipendio e la seconda si occupa della casa e dei bambini, ma che insieme contribuiscono alla cura  e al sostentamento famigliare di tipo economico alternandosi equamente.

Tutto questo apre maggiori possibilità da ambe le parti liberando i più piccoli da stereotipi che a volte sentono oltretutto stretti e non conformi ai loro desideri e aspirazioni.
Le bambine e i bambini sono spugne e imparano da noi adulti, i quali siamo così tenuti a proporre loro modelli sostenibili dai quali apprendere e riuscire quindi a interrompere un passaggio intergenerazionale degli stereotipi. 

  • I cambiamenti profondi sono spesso lenti e ci vuole del tempo prima che diventino parte del nostro quotidiano. Come diventare protagonisti del cambiamento

Oggi sta riemergendo una nuova necessità per i genitori: la revisione dei tempi di vita personale e lavorativa
A Roma, città in cui vivo, in passato era stata avviata una riflessione importante sui tempi e orari della città, anche grazie alla creazione della rete delle banche del tempo, luoghi di scambio di servizi fra cittadine e cittadini. Da qui si potrebbe ripartire per creare una città più accessibile e compatibile con la vita quotidiana ulteriormente scardinata dalla pandemia e la necessità di nuove forme di condivisione. Le banche del tempo si alimentano della disponibilità di tutte e tutti noi.

  • Quali suggerimenti ti senti di dare per questa ripartenza in modo che sia davvero egualitaria?

Va ripensata la redistribuzione tra lavoro e lavoro di cura, quest’ultimo infatti così come è concepito e organizzato non è sostenibile a meno di un sacrificio inaccettabile da parte delle donne. La ripartenza dopo il lockdown ne è stato un esempio indicativo: è stata riavviata la produzione, senza la ripartenza della socialità e della scuola, a fronte di un sistema di welfare pubblico carente e di un sostegno al lavoro di cura familiare e a pagamento basato su schiere di nonni, colf, badanti e babysitter messi fuori gioco dalla pandemia.


L’intreccio fra smart working e maternità inoltre, in assenza di adeguate forme di sostegno al lavoro di cura, ha messo le donne di fronte a una prova molto complessa. Sono stati tanti gli studi che hanno fotografato la condizione delle donne durante la pandemia e che inGenere ha raccolto. Fra questi quello di Eurofund racconta le difficoltà particolarmente pesanti per le donne madri di minori di 11 anni. 


Le donne si sono improvvisate insegnanti nelle ore di didattica a distanza, in alcuni casi alle prese con un carico ulteriore di lavoro dato dalla discontinuità del sistema scolastico riorganizzatosi in maniera disomogenea. Hanno dovuto intrattenere e contenere le figlie e i figli a fronte dell’interruzione della socialità e della segregazione in casa.


Quest’emergenza deve necessariamente essere un punto zero dal quale ripartire per creare un contesto davvero egualitario che non si basi su discriminazioni di alcun tipo, che siano di genere o altre. 

Un contributo realizzato insieme alla Rete Zero-Sei, un progetto di cura per la fascia d'età 0-6 anni e per i genitori. 
 

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