La nascita di Save the Children e i figli dei nemici

Quasi tutti, in Italia, conoscono Save the Children. Pochissimi, però, conoscono le sue origini e soprattutto la donna straordinaria che l’ha fondata, Eglantyne Jebb. È per questo motivo che ho deciso di fare alcune ricerche e di raccontare questa storia in un libro, “I figli dei nemici”, edito da Rizzoli e in libreria dal 16 aprile.

Save the Children non nasce come una tradizionale charity. Tutt’altro. Nasce attorno ad una missione controversa e molto scomoda: aiutare i bambini austriaci e tedeschi che muoiono di fame a causa del blocco navale. Nel 1919 la Grande Guerra è finita, ma il blocco alimentare prosegue, perché le nazioni vincitrici vogliono strappare condizioni di resa ancora più dure. Si usa, allora, l’”arma della fame”, la stessa che ancora oggi vediamo all’opera in Siria, in Yemen, in Sud Sudan. 


La nuova organizzazione nasce tra le polemiche. Gli inglesi non hanno nessuna voglia di preoccuparsi dei figli dei nemici, mentre stanno piangendo mezzo milione di morti. Eppure, Save the Children riuscirà a ribaltare l’opinione pubblica e a imporre la necessità di soccorrere i bambini – tutti i bambini, nessuno escluso – al di sopra di ogni confine e di ogni barriera nazionalistica. “Non posso avere nemici con meno di sette anni”: così George Bernard Shaw sintetizza il suo sostegno alla causa. Ogni generazione di bambini offre all’umanità la possibilità di ricostruire il mondo dalle sue macerie. 
La ricerca negli archivi della London School of Economics e dell’Università di Birmingham è stata per me una continua sorpresa. Cercavo le origini di Save the Children, ma soprattutto ho incontrato una donna, Eglantyne Jebb. 

Una donna piena di contrasti. Decisa e spregiudicata, in grado di affrontare, per le sue idee, un arresto e un processo, capace di interloquire direttamente con Papa Benedetto XV e i bolscevichi di Lenin. Allo stesso tempo, una donna priva di ogni retorica da condottiera, fragile e insicura: il tono di voce sempre basso, un sorriso ironico, e una straordinaria capacità di far fare alle persone tutto ciò che vuole. Cresciuta in una famiglia di piccoli proprietari terrieri, riesce, grazie alla mamma e alla zia, a rompere gli schemi, andando a studiare ad Oxford e poi a Cambridge, conquistando una libertà di azione rara per le ragazze del tempo. 

È ad Eglantyne che dobbiamo la stesura della prima Dichiarazione dei diritti del fanciullo, l’antesignana della Convenzione Onu dei diritti dei bambini e degli adolescenti. È grazie a lei, alla sorella Dorothy e a uno straordinario gruppo di donne e uomini se oggi Save the Children mantiene viva la sua missione nel mondo. Ho cercato di dar voce a Eglantyne e agli altri protagonisti della prima ora, operatori, suffragette, medici, volontari, alla loro visione moderna, alla creatività, alla concretezza, alla dedizione che hanno saputo dimostrare, sempre con un unico obiettivo: “salvarli tutti, salvarne il più possibile”. 

Save the Children in pochi anni diventa una grande rete sovranazionale, un’organizzazione non governativa ante litteram, un segno di speranza in un mondo pieno di ombre, dominato da rancori e spinte nazionalistiche, pronte ad esplodere con la seconda guerra mondiale. 

Edward Carr sosteneva che la storia non è altro che un continuo dialogo tra passato e presente. Riflettere sulle nostre origini significa interrogarci sulle sfide dell’oggi. Spero che la lettura de I figli dei nemici possa ispirare e incoraggiare chi oggi è convinto, con Eglantyne, che non c’è nessuna insita impossibilità nel salvare i bambini del mondo. È impossibile - diceva - solo se ci rifiutiamo di farlo.

Raffaela Milano