Kenya: migliaia di bambini vulnerabili rischiano di subire violenze, di essere reclutati da gruppi armati o separati dalle proprie famiglie
Migliaia di persone stanno abbandonando il campo rifugiati di Dadaab in Kenya, in vista della sua imminente chiusura, e stanno facendo ritorno in Somalia, un Paese ancora dilaniato dalla guerra. In questo contesto, avverte Save the Children, l’Organizzazione internazionale dedicata dal 1919 a salvare i bambini in pericolo e a promuoverne i diritti, più di 165.000 bambini vulnerabili rischiano di subire violenze, di essere reclutati da gruppi armati o separati dalle proprie famiglie.
Attualmente a Dadaab, il campo rifugiati più grande al mondo istituito nel 1991 per ospitare i profughi somali in fuga dalla guerra civile, vivono circa 277.000 persone, di cui il 60% è costituito da bambini. Decine di migliaia di rifugiati hanno già lasciato il campo lo scorso anno, in seguito alla notizia della sua chiusura, prevista a novembre, e hanno fatto ritorno in Somalia, dove sempre più bambini vanno incontro a violenze e pericoli per la propria vita.
“Da quando è stata annunciata la chiusura del campo di Dadaab, le persone vivono nella paura e nella confusione, visto che sono state costrette ad accelerare il loro ritorno in Somalia,” afferma Helle Thorning-Schmidt, Direttore generale di Save the Children International.
“Immaginate se da un giorno all’altro vi dicessero che non avrete più la vostra casa. L’annuncio della chiusura del campo ha creato un senso di panico tra la gente e le famiglie si sono viste costrette ad affrontare subito viaggi molto pericolosi per fare ritorno in una zona di conflitto come la Somalia, dove non esistono o sono molto scarsi i servizi essenziali per facilitare la loro reintegrazione.
Questa decisione sta mettendo a rischio la vita dei rifugiati e dei loro bambini e sta compromettendo gravemente il loro futuro. I bimbi di Dadaab sono costretti a dire addio alle loro comunità, privati della possibilità di andare a scuola e di ricevere beni essenziali e costretti ad abbandonare l’unica casa che hanno conosciuto nella loro vita". Mohamed e Aden*, rispettivamente di 14 e 13 anni, sono stati intercettati da un gruppo armato sulla via del ritorno in Somalia. Il padre, che ha cercato di proteggerli e di impedire che fossero reclutati, è stato ucciso, mentre la loro mamma è riuscita a scampare alla morte e a fuggire in Etiopia.
"Dopo l'assassinio di nostro padre, siamo stati portati in un campo di addestramento militare a Baardheere. Se ci rifiutavamo di eseguire gli ordini, venivamo picchiati e ci lasciavano senza cibo", racconta Aden. I due fratelli sono riusciti a fuggire e sono stati poi arrestati dalle forze militari.
Dopo essere stati rilasciati, hanno fatto ritorno, da soli, al campo di Dadaab. "Non tornerò mai più in Somalia: ho paura che le milizie ci stiano ancora cercando e la prossima volta, anziché portarci al campo di addestramento, ci uccideranno senza pensarci su due volte", dice ancora Aden. Lui e suo fratello, rimasti senza genitori, ora stanno facendo di tutto per accedere di nuovo ai servizi essenziali nel campo di Dadaab, come cibo e un riparo, ma non possono fare altro che aspettare che venga riattivata la loro tessera per le razioni.
Un altro bambino, Abdullahi*, di 6 anni, racconta che, poco dopo il ritorno in Somalia, ha visto con i suoi occhi il suo vicino di casa saltare in aria dopo essere stato colpito da un colpo di mortaio. "C'è stata una forte esplosione. Sono uscito di casa e ho visto parti del corpo sparse dappertutto'', racconta Abdullahi, la cui madre, da quando sono ritornati nel campo di Dadaab, dice di avere incubi tutte le notti. Ahmed*, 18 anni, spiega allo staff di Save the Children a Dadaab che un ritorno in Somalia significherebbe per lui un sicuro reclutamento in guerra: "Avrei solo due alternative: unirmi all’esercito o a un gruppo armato. In Somalia non c’è futuro, non c’è la possibilità di studiare.
E non sappiamo se potremo sostenere gli esami e ottenere il diploma. La maggior parte di noi qui non ha più nessuna speranza nel futuro". Per garantire la protezione e la sicurezza a tutti i bambini rifugiati del campo di Dadaab, Save the Children chiede ai governi di Kenya e Somalia e all’Unhcr di rinegoziare ed estendere l’Accordo Tripartito – siglato nel novembre 2013 per facilitare il rimpatrio volontario dei rifugiati somali – in modo da assicurare che i rimpatri siano sicuri, dignitosi e realizzati su base volontaria.
L’Organizzazione chiede inoltre al governo di Nairobi di comunicare con chiarezza a tutti i rifugiati che il campo resterà aperto anche oltre il mese di novembre. Il governo keniota dovrà inoltre permettere a tutti gli studenti di sostenere l’esame nazionale il mese prossimo e collaborare con quello somalo affinché anche agli studenti che ritorneranno in Somalia sia garantita la possibilità di sostenere l’esame in futuro. Save the Children chiede quindi ai donatori e alla comunità internazionale di assicurare i fondi necessari per il processo di rimpatrio volontario, per il supporto ai rifugiati che resteranno a Dadaab e a coloro che rientreranno in Somalia, con una particolare enfasi sulla protezione dei bambini e sui loro bisogni educativi.
L’Organizzazione chiede infine alle agenzie delle Nazioni Unite e alle ONG che operano a Dadaab di garantire che l’intero processo di rimpatrio dei rifugiati sia condotto nel supremo interesse dei bambini e all’Unhcr di rassicurare i rifugiati che i benefici finanziari per il ritorno in Somalia resteranno validi anche nel 2017 e di informarli sulle opportunità educative a disposizione dei bambini una volta rientrati in Somalia.
*I nomi dei bambini sono stati cambiati per proteggerne la privacy
Per ulteriori informazioni: Tel 06-48070023/63/81/82 ufficiostampa@savethechildren.org