Bambini in istituto: Save the Children, almeno quattro bambini su cinque che vivono in istituto nei paesi a basso reddito hanno uno o entrambi i genitori in vita.

Quattro bambini su cinque che vivono negli istituti nei paesi a basso reddito hanno almeno un genitore in vita. La proporzione si innalza notevolmente in alcuni paesi dell’Europa centrale e dell’est, dove ben il 98% dei bambini ha un genitore, in Indonesia e nel Ghana, dove la percentuale è rispettivamente del 94% e del 90%.

Questo significa che milioni di bambini, senza essere orfani, sono esposti al rischio che può comportare il vivere in istituto, se non supportati da personale specializzato competente: pericolo di subire danni psicologici, di abusi, di sfruttamento, di essere maltrattati, oltre che costretti a sperimentare il trauma della separazione dai genitori che invece, se adeguatamente sostenuti, potrebbero prendersi cura di loro.

Secondo il rapporto internazionale “I bambini fuori dagli istituti”, lanciato oggi da Save the Children, si stima che otto milioni di bambini vivono attualmente in orfanotrofi ed altri tipi di istituti, anche se la cifra appare sottostimata, poiché sono tantissimi quelli non registrati. La povertà è la principale ragione del loro abbandono: per molte famiglie estremamente indigenti, infatti, anche in seguito ad eventi traumatici come disastri naturali, conflitti, malattie o problemi familiari, il collocamento dei figli in istituto appare l’unica via d’uscita per garantire loro un futuro.

Il rapporto di Save the Children inoltre evidenzia che, in alcuni paesi, in particolare in Africa ed Asia, la presenza di minori negli istituti è diventata anche un grosso affare economico, poiché i gestori delle strutture ricevono incentivi finanziari dalle istituzioni e dai donatori e ciò ha contribuito ad una crescita drammatica dei bambini istituzionalizzati negli ultimi anni. Ad esempio, oggi in Liberia il numero degli orfani è pari ad 11 volte quello di 20 anni fa. In alcuni casi, gestori senza scrupoli adescano le famiglie più povere con la falsa promessa di dare ai loro bambini un’educazione o una vita migliore.

In Indonesia, nel periodo dopo lo tsunami, si diffuse la convinzione errata che milioni di bambini fossero rimasti orfani ad Aceh, tanto che il governo ha quadruplicato i finanziamenti agli istituti. Secondo Save the Children, ben il 97,5 % dei cosiddetti orfani dello tsunami, sono in realtà stati affidati dalle stesse famiglie, a causa della povertà, a queste strutture, il cui numero è quasi quadruplicato nell’ultimo decennio.

In Ghana, il numero degli istituti è passato da 10 nel 1996 a più di 140 nel 2009, la maggior parte dei quali non sono nemmeno registrati, così come in Sri Lanka le comunità di tipo familiare sono passate da 142 nel 1991 a 5000 nel 2007.

“La gran parte dei genitori dei bambini che nei paesi a basso reddito vivono in istituto sono ancora in vita: la verità è che non riescono ad assicurare loro cibo, vestiti e a mandarli a scuola”, ha commentato Corinna Csaky, autrice del rapporto ed esperta in Protezione di Save the Children. “Sono inoltre molti i bambini che, oltre alla separazione dai genitori, devono affrontare la scarsa cura, la violenza, gli abusi, lo sfruttamento che purtroppo esistono in molti istituti e che provocano danni molto gravi e duraturi ai bambini stessi e alla società in cui vivono”.

Il rapporto di Save the Children sottolinea infatti come, in base ad alcuni studi comparativi, emerga che i bambini che crescono in queste strutture, a causa della mancanza di attenzioni, spesso siano più propensi a soffrire di rachitismo, di problemi comportamentali e di avere un quoziente intellettivo più basso della media rispetto ai coetanei che sono dati in affido. Spesso, vivendo in un istituto, i bambini con meno di tre anni sono esposti al pericolo di danni irreversibili nel loro sviluppo fisico e cognitivo. Quelli disabili, se collocati in strutture non specializzate, sono sottoposti ad un maggiore rischio di abuso. Al contrario, i bambini con specifici bisogni o disabili, possono trovare nelle apposite strutture un ambiente in cui potranno essere affiancati da personale qualificato. 

Per tracciare le dimensioni e l’eccessivo ricorso del collocamento dei bambini in istituto, Save the Children sta chiedendo ai governi e a tutti coloro che finanziano queste strutture di convogliare le proprie risorse in progetti di supporto alle famiglie, affinchè possano prendersi cura dei propri figli tenendoli a casa o all’interno della comunità di appartenenza. Il piano e i sistemi per garantire protezione ai bambini in alcune nazioni dovrebbero essere rivisti ed indirizzati verso un supporto reale alle famiglie, che consenta loro di occuparsi adeguatamente dei propri figli e, ove necessario, assicurare che i bambini abbiano accesso a sistemazioni alternative all’istituto. Inoltre, l’Organizzazione chiede ai governi di effettuare un preciso monitoraggio degli istituti e di promuovere campagne di sensibilizzazione sull’importanza per i bambini di crescere laddove possibile nella propria famiglia e all’interno della propria comunità .  


ALCUNE TESTIMONIANZE

“Non abbiamo mai ricevuto neanche un po’ d’affetto. Avevamo tute le cose materiali: un letto, cibo, vestiti. Ma neanche un po’ d’amore”
Bambino di un istituto di El Salvador

“Ci devi aiutare…mi hanno portato qui per proteggermi perchè vivevo per strada. Ma i bambini come me qui vivono insieme ad altri ragazzi cattivi e spesso non possiamo lavarci o dormire tranquilli perché abbiamo paura di essere accoltellati, assaliti o roba del genere”
Bambino di 12 anni di un istituto delle Fiji

“Una volta sono andato in bagno senza sapere che era il momento dell’appello. Al ritorno, il supervisore mi ha sbattuto la testa al muro tante volte”
Bambino di un istituto in Mongolia

“Se cresci in un villaggio, poi puoi sposarti. Se vivi in un orfanotrofio, questo non può accadere. Poi diventi grande e ti mandano via, ma non hai un posto dove andare”.
Bambino del Malawi

“Non abbiamo mai pensato di vivere per conto nostro. Un bel giorno ci diedero del sapone, uno spazzolino e del dentifricio, vestiti, di solito uguali per tutti. Fino all’età di 12 anni avevamo tutti lo stesso taglio di capelli. Era come vivere in un’incubatrice”
Ragazza in un istituto della Russia 


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