Coronavirus: un milione di bambini in più rischiano di cadere in povertà assoluta
La “fase 2” della riapertura, di cui si parla in queste ore, ci metterà di fonte alla drammatica fotografia di un paese colpito non soltanto dal lutto e dalle conseguenze sanitarie dell’epidemia di Covid-19, ma anche profondamente ferito da una crisi economica che si sta abbattendo sulle famiglie più povere e su tutti i nuclei familiari improvvisamente impoveriti dall’emergenza e dalla chiusura delle attività produttive e commerciali non essenziali.
Questo il quadro che emerge dall’indagine condotta da Save the Children, che ha analizzato anche le conseguenze economiche della crisi sanitaria tra le famiglie con figli minorenni beneficiarie del progetto “Non da soli”, lanciato immediatamente dall’Organizzazione in risposta all’emergenza Covid-19 per supportare i nuclei più fragili.[1]
Moltissime famiglie hanno visto improvvisamente cambiare la propria disponibilità economica (77,6%), il 73,8% ha perso il lavoro o ridotto drasticamente il proprio impegno retribuito. Nel 63,9% dei casi la mancanza di entrate economiche ha fatto ridurre la spesa per l’acquisto di beni alimentari. Di quelle intervistate, solo una famiglia su 10 ha in casa un tablet e 1 su 3 un computer.
Pur essendo molto difficile fare stime in questo momento, sulla base degli elementi disponibili, sembrerebbe piuttosto concreto, in assenza di interventi immediati, il rischio che il numero dei bambini in condizioni di povertà assoluta aumenti di un ulteriore milione, un numero che potrebbe essere anche più alto se non verranno presi provvedimenti a sostegno delle famiglie in difficoltà.
Nel 2019[2], infatti, dopo anni in cui l’incidenza e il numero di bambini in povertà sono sempre saliti o si sono stabilizzati, quando i dati saranno disponibili è possibile che si osservi per la prima volta una diminuzione della povertà minorile provocata dal reddito di cittadinanza, avviato nel marzo 2019, di cui hanno beneficiato famiglie con circa mezzo milione di minorenni. Ma il rischio è che nel 2020 il tasso di povertà minorile possa avere un balzo drammatico, come è accaduto nella precedente crisi: nel 2008, i bambini in povertà assoluta erano 375mila e quelli in povertà relativa 1milione260mila[3]. Dopo 8 anni, dal 2016 e ancora oggi i bambini in povertà assoluta sono diventati 1milione 260mila: la fascia di minori che era a rischio di povertà assoluta, ma non era ancora in quella condizione, è scivolata nella condizione di grave deprivazione economica e materiale, andando ad aggiungersi al fronte dei 375 mila bambini che già si trovavano in uno stato di indigenza. L’esempio del decennio precedente fa temere che molti dei minori in povertà relativa che sono definiti “appena poveri” (circa la metà dei 2milioni 192mila minori in povertà relativa stimati dall’Istat per il 2018) possano scivolare in povertà assoluta e ingrossare le fila già drammaticamente affollate del milione 260 mila bambini già in questa condizione.
“In questo momento è impossibile prevedere l’impatto della crisi sui bambini e gli adolescenti e molto dipenderà dai provvedimenti economici e sociali che verranno presi nelle prossime settimane, ma l’allarme è serio. Non possiamo rischiare di accrescere ulteriormente la schiera di bambini in povertà assoluta e per questo è necessario agire il prima possibile, per dare un sostegno a tutte quelle famiglie che in queste ore stanno vedendo la loro condizione aggravarsi in maniera così repentina”, spiega Raffaela Milano, Direttrice dei Programmi Italia-Europa di Save the Children.
Questo quadro generale trova conferma nell’analisi qualitativa della condizione delle famiglie che Save the Children ha condotto proprio tra quei nuclei fragili a cui si rivolge coi suoi interventi. In famiglie già in difficoltà, dove spesso è una persona a mantenere un nucleo numeroso, o dove si viveva in base ad un lavoro saltuario, occasionale, irregolare, l’impatto della chiusura delle filiere produttive non alimentari e delle attività commerciali, unito alle indicazioni sul distanziamento sociale che non permettono l’attività in strada (venditori ambulanti, parcheggiatori), è drammatico. Moltissime famiglie hanno visto improvvisamente cambiare la propria disponibilità economica (77,6%) e il 73,8% di rispondenti ha perso il lavoro o ridotto drasticamente il suo impegno retribuito. Il 17,6% è andato in cassa integrazione.
L’improvvisa mancanza di disponibilità economica è stata fronteggiata in alcuni casi con il ricorso a risparmi. Nel 63,9% dei casi tuttavia la mancanza di entrate economiche ha portato a dover ridurre sin da subito la spesa per l’acquisto di beni alimentari e in una famiglia su due anche la spesa per l’acquisto o il pagamento di altri beni e servizi di prima necessità (affitto e utenze 35,9%, farmaci 30,8%, prodotti per l’infanzia 26,9%, materiale scolastico 3,8%, materiale per comunicare on-line 2,6%). In questo scenario di difficoltà emergenti, ci sono molte incertezze rispetto al supporto che le famiglie potranno ricevere dalle istituzioni: una famiglia su tre di quelle intervistate non sa se riceverà un aiuto pubblico (30,4%) e più di una su 4 pensa che non lo riceverà (26,9%).
“L’indagine che abbiamo effettuato con le famiglie che già versavano in situazioni di disagio socio-economico ha mostrato come la crisi sociale che accompagna quella sanitaria abbia acuito criticità e problemi già presenti. La povertà minorile triplicata nell’ultimo decennio, la dispersione scolastica, che dopo un periodo di calo ha subito un nuovo aumento negli due ultimi anni, le maggiori difficoltà che affrontano le famiglie straniere escluse dall’accesso agli aiuti pubblici: sono tutti aspetti che rischiano di trasformare questa crisi in un detonatore verso disuguaglianze territoriali e sociali ai danni dei bambini. Con il nostro intervento sul territorio registriamo ogni giorno un significativo aumento di richieste di aiuto di beni di prima necessità.”, spiega Raffaela Milano.
La crisi sociale ed economica ha risvolti pesanti sul fronte educativo: l’emergenza Coronavirus e la chiusura prolungata delle scuole sta colpendo molti bambini e adolescenti che rischiano di rimanere isolati rispetto alla loro classe e non raggiunti dalla didattica a distanza. Anche in questo caso i dati resi disponibili da Istat vengono confermati dall’analisi delle interviste delle famiglie fragili messa a fuoco dall’indagine di Save the Children. Gli ultimi dati Istat disponibili[4] parlano di un 42% dei minori che vivono una condizione di sovraffollamento delle proprie abitazioni e di un 7% di bambini e adolescenti vittime di un grave disagio abitativo. È in quelle case piccole e affollate, con famiglie in condizioni economiche ulteriormente peggiorate, che i bambini e gli adolescenti cercano uno spazio per studiare e concentrarsi.
“L’emergenza sanitaria e la prolungata chiusura delle scuole hanno fatto sparire dal radar molti studenti a rischio, nonostante l’impegno di insegnanti e dirigenti per contattarli uno ad uno e l’intervento di molte associazioni che affiancano le scuole e i loro alunni garantendo il sostegno della comunità educante. Per un bambino che vive in contesti svantaggiati anche i tre mesi di vacanza estiva rischiano di causare una perdita di apprendimento rispetto ai coetanei in condizioni di vantaggio socio-economico e oggi siamo di fronte allo scenario di mesi di chiusura delle scuole. Se la didattica a distanza non riuscirà a raggiungere tutti, saremo di fronte al rischio concreto di indebolire ulteriormente gli alunni in condizioni più critiche”, spiega Raffaela Milano.
In base agli ultimi dati OCSE - PISA[5], sottolinea Save the Children, più di un ragazzo su 5 a livello nazionale ha dei livelli insufficienti in Lettura e Matematica, con differenze sostanziali rispetto alla media europea, con forti discrepanze tra Nord e Sud del nostro paese. . La prossima ‘tornata’ 2021 rischia di portare ad un incremento dei low achievers, cioè alunni 15enni che non raggiungono i livelli minimi di competenze. La dispersione scolastica in Italia si attesta sul 14,5% (dato 2018). Dopo un periodo di calo, il trend è in ripresa negli ultimi due anni di rilevazione (nel 2016 era il 13,8%, poi risalito al 14% nel 2017 e di ulteriore mezzo punto nel 2018). Nella attuale crisi, che investe fortemente la sfera educativa, il rischio concreto è che, se non si corre ai ripari, questo trend di risalita possa avanzare, riportandoci a valori come quelli del 2008 (quando la percentuale era del 19,6%).
L’accesso alla didattica digitale è ancora oggi spesso un miraggio, laddove device e connessioni sono un privilegio che molte famiglie non possono permettersi: i dati Istat rilevano che il 12,3% dei ragazzi tra 6 e 17 anni non ha un computer o un tablet a casa (850 mila in termini assoluti), la quota raggiunge quasi il 20% nel Mezzogiorno (470 mila ragazzi). Il 57% lo deve condividere con la famiglia e solo il 6,1% vive in famiglie dove è disponibile almeno un computer per ogni componente. Tra le famiglie con minori (0-17 anni) circa 1 su 7 non ha un computer o un tablet a casa (il 14,3%), con differenze geografiche nette che passano da picchi del 21,4% al Sud lall’8,1% nel Nord-Ovest[6].
Quindi anche se quasi tutte le famiglie con figli hanno accesso ad internet, magari attraverso il cellulare di un genitore, risulta molto difficile seguire le lezioni online e svolgere compiti a distanza (stampare e inviare schede, elaborati, esercizi), se non sono presenti almeno un computer o un tablet in casa da utilizzare varie ore al giorno.
Sono poi necessarie competenze digitali per accedere e utilizzare al meglio le piattaforme e anche in questo caso vi sono molte lacune. Istat stima che tra gli adolescenti 14-17enni, che sono impegnati in questa fase con la didattica a distanza in varie forme e livelli di complessità, solo il 30,2% presenti alte competenze digitali (pari a circa 700 mila ragazzi), il 3% non ha alcuna competenza digitale mentre circa i due terzi presentano competenze digitali basse o di base.
Tra le famiglie intervistate da Save the Children, quasi sei su dieci (57,2%) non hanno una connessione internet casalinga, mentre la quasi totalità degli intervistati ha a disposizione almeno una rete mobile (95,5%). La maggior parte delle famiglie ha a disposizione 2 o 3 dispositivi (59,7%). Il possesso di un buon numero di dispositivi non deve trarre in inganno: si tratta infatti quasi sempre di smartphone, a disposizione del 98,9% delle famiglie, ma meno di pc, presenti in una famiglia su 3 (30,9%) e rare volte di tablet, a disposizione solo di una famiglia su dieci (12%). Ad aggravare la situazione, quasi 1 famiglia su 5 dispone di meno di 30 giga al mese (19,8%). Di questi, l’8,3% dispone di meno di 5 giga al mese.
Il problema della mancanza di connessione e della difficoltà ad avere supporti informatici adeguati, mette quindi in gravi difficoltà quei bambini e adolescenti che si trovano a dover fare i conti con i compiti e le lezioni a distanza: nel 30,6% delle famiglie intervistate i figli non riescono a seguire le lezioni a distanza, perché queste non sono offerte dalla scuola o per l’impossibilità di seguirle. La possibilità di seguire le lezioni a distanza è infatti legata al numero di dispositivi in possesso della famiglia: con due dispositivi il 40,2% delle famiglie non riesce a far seguire le lezioni a distanza ai propri figli. La condizione migliora con l’aumentare dei dispositivi, anche se permane un numero di famiglie che si dichiara non in grado di far seguire la didattica a distanza ai figli (23,8% con 3 dispositivi, 13,9% con 4, 2% con 5 e così via). Così la disponibilità mensile di GIGA: riesce a seguire le lezioni a distanza il 4,7%% di chi ha meno di 5 GIGA mensili, l’8,9% di chi ne ha meno di 30 e invece l’86,4% di chi ne ha più di 30 Tra i motivi che rendono impossibile seguire la didattica a distanza, nella quasi totalità dei casi (97,9%) le famiglie annoverano anche il problema della concomitanza delle lezioni tra i fratelli.
“Con il prolungarsi della chiusura delle scuole, il digital divide territoriale e sociale mette a rischio il diritto all’istruzione, La scuola italiana, grazie alla dedizione di molti docenti, ha cercato di rispondere all’emergenza mettendo in campo soluzioni creative e inaspettate. Allo stesso tempo, è evidente come l’istituzione scolastica sia giunta a questa crisi impreparata sul fronte della didattica a distanza, sia per quanto riguarda la preparazione stessa dei docenti che la possibilità per gli studenti di fruire di questa opportunità e per questi motivi è indispensabile raggiungere, grazie ad un patto tra scuole, comuni, terzo settore e mondo produttivo, tutti gli studenti ancora oggi esclusi dalla didattica a distanza, provvedere a fornirli di device e connessioni e accompagnarli, anche attraverso un sostegno individualizzato, alla ripresa del percorso educativo”.
“Siamo di fronte al rischio concreto – conclude Raffaela Milano - di un forte aumento della povertà educativa, già tanto presente nel nostro Paese. Mai come oggi sono da evitare misure spot e disarticolate che rischiano di creare sprechi e diseconomie e bisogna affrontare la crisi attraverso un piano organico immediato e di lungo periodo, da costruirsi a partire dai territori.
Dai giorni immediatamente successivi all’emergenza, Save the Children ha attivato il programma Non da Soli, in risposta all’emergenza Coronavirus, sostenendo concretamente ad oggi oltre 22.000 persone tra bambini e adolescenti, famiglie vulnerabili e docenti, in rete con 41 associazioni partner, nelle aree più difficili e marginalizzate del Paese.
Per supportare l’intervento dell’Organizzazione, è partita l’iniziativa #piattodelcuore, una staffetta virtuale in cui tante celebrities – da Michela Andreozzi a Cesare Bocci, da Roberta Capua a Laura Chiatti, da Antonello Colonna a Tosca D’Aquino, da Elisa a Salvatore Esposito, e ancora Filippo La Mantia, Emma Marrone, LaSabri, Michela Quattrociocche, solo per menzionarne alcuni - si stanno mettendo in gioco sui social preparando il piatto preferito della propria infanzia per raccogliere fondi a favore dell’intervento di Save the Children. L’intento dell’iniziativa è raccogliere fondi per dare sostegno materiale a tutte quelle famiglie che stanno vivendo in condizioni di maggiore disagio a causa dell’emergenza Coronavirus.
Tante le persone che hanno scelto di sostenere il progetto “Non da Soli” di Save the Children, così come le aziende e le fondazioni, tra cui Bolton Group, Amazon, Vodafone Italia, Tirreno Power, FSI, Fondazione Be Happy, Fondazione Snam e Fondazione Iris.
Tutti possono dare il proprio contributo donando su: www.savethechildren.it
Il rapporto “Non da soli” è disponibile in pdf al link: https://www.savethechildren.it/cosa-facciamo/pubblicazioni/secondo-rapp…
Per ulteriori informazioni:
Tel. 06-48070023/63/81/82
ufficiostampa@savethechildren.org
www.savethechildren.it
[1] La survey telefonica è stata condotta nelle giornate del 31 marzo, 1^ e 2 aprile, sottoponendo un questionario a famiglie beneficiarie dei nostri progetti sul territorio (Roma, Milano, Torino, Genova, Napoli, Palermo, Catania, Ancona, Pescara, Sassari, Bari, Brindisi, Udine, Marghera, Scalea, S. Luca, Potenza, L’Aquila). Il questionario si divide in 3 aree: composizione del nucleo familiare (3 domande); impatto economico delle restrizioni dovute all’emergenza sanitaria (10 domande); accesso alla didattica a distanza e ruolo della scuola (11 domande). Hanno risposto 366 persone, rappresentanti di altrettante famiglie. 55 questionari sono risultati inutilizzabili.
[2] Dati ISTAT non ancora disponibili
[3] Sono considerate in povertà relativa le famiglie che hanno una spesa per consumi al di sotto di una soglia convenzionale (linea di povertà) che per una famiglia di due componenti è pari alla spesa media per persona nel Paese (spesa pro-capite) e si ottiene dividendo la spesa totale per consumi delle famiglie per il numero di componenti, con una scala di equivalenza. Nel 2018 la linea di povertà relativa è stata fissata in 1.095,09 euro.
[4] Fonte: Istat, 2018
[5] Anno 2018
[6] ISTAT, Spazi in casa e disponibilità di computer per bambini e ragazzi, 4 aprile 2020 https://www.istat.it/it/files/2020/04/Spazi-casa-disponibilita-computer…