Infanzia in guerra: 200 milioni di bambini vivono nelle zone di conflitto più letali al mondo, una cifra aumentata di circa il 20%, la più alta degli ultimi 10 anni.

Nel mondo un bambino su sei, più di 450 milioni di bambini, vive in una zona di conflitto e, tra questi, circa 200 milioni[1] vivono nelle 13 aree di conflitto più letali al mondo[2]. La cifra più alta degli ultimi dieci anni (appena dopo i 208 milioni raggiunti nel 2008), aumentata di circa il 20% rispetto ai 162 milioni dell’anno precedente in parte a causa delle violenze scoppiate in Mozambico e ai conflitti in corso in Afghanistan[3], Repubblica Democratica del Congo, Nigeria e Yemen, paesi già gravemente colpiti dalle conseguenze della crisi climatica e con livelli di crisi alimentare potenzialmente letali. Anche il numero di minori che vivono in aree di conflitto è aumentato del 5% rispetto al 2019 ed è la cifra più alta mai raggiunta negli ultimi 20 anni, sebbene il numero di conflitti non sia aumentato dal 2019 al 2020.

Sono invece 337 milioni i bambini che vivono nelle vicinanze di gruppi armati e forze governative che reclutano bambini[4], un numero tre volte superiore rispetto a tre decenni fa (erano 99 milioni nel 1990), così come il numero di paesi in cui vengono reclutati minori e in cui vive più della metà dei bambini del mondo (quasi 1,3 miliardi) è balzato a 39, il numero più alto in 30 anni. Afghanistan, Siria, Yemen, Filippine e Iraq sono tra i paesi con la più alta percentuale di bambini che vivono nei pressi di un gruppo armato, correndo un maggiore rischio di essere reclutati per combattere in prima linea o presidiare i posti di blocco. Bambine e ragazze non sono escluse e anche se rappresentano solo il 15% dei casi di reclutamento secondo quanto riportato dalle Nazioni Unite, esse sono spesso arruolate come spie, per posare mine e ordigni esplosivi improvvisati o per attacchi suicidi perché hanno meno probabilità di attirare l'attenzione. Sono inoltre più vulnerabili ad abusi a causa del loro status sociale e del loro genere.

Il Covid-19 ha contribuito ad aggravare il fenomeno: durante la pandemia il numero di gruppi armati che reclutano minori è salito a 110, rispetto agli 85 del 2019, e nel 2020 sono stati quasi 8600 i casi di reclutamento e impiego di bambini[5], circa 25 al giorno - un aumento del 10% rispetto all’anno precedente. La pandemia ha inoltre peggiorato le condizioni di povertà e ridotto le possibilità di frequentare la scuola, rendendo i minori più vulnerabili. L'accesso all'istruzione, infatti, è fondamentale per proteggere i bambini dai rischi legati ai conflitti come il reclutamento forzato. Inoltre, molti minori si uniscono a questi gruppi in cerca di un senso di appartenenza, protezione da abusi, status sociale o vendetta.

Questa la fotografia drammatica denunciata nel suo sesto rapporto “Stop the War on Children: A Crisis of Recruitment” da Save the Children - l’Organizzazione internazionale che da oltre 100 anni lotta per salvare le bambine e i bambini a rischio e garantire loro un futuro – e dedicato ai minori che vivono in aree di conflitto.

Lesioni, disabilità, malattie croniche fisiche o mentali, disturbi da stress post-traumatico, violenze sessuali e morte sono i rischi che corrono i minori reclutati da gruppi e forze armate. “Eravamo al fiume a nuotare quando degli uomini ci hanno portato con la forza nella foresta. Ci hanno torturato, picchiato e ci hanno insegnato come uccidere e rapire le persone. Abbiamo sofferto molto” ha raccontato Jean*, un ragazzo di 17 anni che è stato costretto a unirsi a un gruppo armato in Repubblica Democratica del Congo prima di essere salvato dall'organizzazione partner di Save the Children, KUA. “Quando ero nella foresta stavo molto male. Ero molto spaventato. La mia vita è stata difficile”.

Molti bambini non hanno conosciuto altro che conflitti nella loro vita, con gravi ripercussioni sulla loro salute mentale. Save the Children ha intervistato 40 membri del suo staff in 14 paesi e regioni rilevando i bambini che vivono nelle zone di conflitto devono far fronte anche al peso delle crisi economiche e alla mancanza di accesso a servizi di base, e raramente qualcuno è ritenuto responsabile per le atrocità commesse contro di loro.

"È terribile che nonostante il Covid-19 e la richiesta delle Nazioni Unite per un cessate il fuoco globale, sempre più bambini siano un bersaglio nelle zone di guerra più mortali e abbiano più probabilità di essere feriti, reclutati o uccisi. Per di più, devono già far fronte a siccità, inondazioni e fame. Nemmeno una pandemia globale è bastata per fermare le guerre e le atrocità più brutali. Milioni di bambini non hanno conosciuto altro che la guerra con conseguenze spaventose per la loro salute mentale, la loro educazione o l'accesso ai servizi salvavita. Questa è una vergogna per la comunità internazionale e non può continuare. Sappiamo che se collaboriamo possiamo affrontare le più grandi sfide del nostro tempo e ottenere notevoli progressi come è accaduto con i vaccini contro il Covid-19, ora dobbiamo fare lo stesso per proteggere i bambini dagli orrori del conflitto” ha dichiarato Inger Ashing, CEO di Save the Children International.

L’Organizzazione esorta i leader mondiali, gli esperti di sicurezza, i donatori, i membri delle Nazioni Unite e le ONG a collaborare affinché gli autori di queste violazioni siano ritenuti responsabili e per garantire che tutte le politiche e i relativi quadri giuridici siano ratificati e attuati e che donatori e governi diano la priorità ai finanziamenti per la protezione dell'infanzia nelle risposte umanitarie, oggi ai minimi storici, per sostenere i bambini colpiti dal conflitto e i minori reclutati.

*Nome cambiato per proteggere l'identità

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[1] Basato sui più recenti dati del 2020.

[2] Le zone ad alta densità di conflitto sono aree con 1000 o più morti in battaglia all’anno. Le zone a media e bassa intensità sono aree con, rispettivamente, 25/999 e un massimo di 25 morti in battaglia in un anno. Nel 2020 i paesi con zone di conflitto ad alta densità erano 13 e ci vivevano quasi 200 milioni di bambini.

[3] Dati raccolti prima dell’ascesa dei talebani ad agosto 2021.

[4] Save the Children, in collaborazione con il Peace Research Institute Oslo (PRIO), ha stimato il numero di minori (al di sotto dei 18 anni) a rischio di essere reclutati da gruppi armati o forze governative nelle zone di conflitto durante il periodo 1990-2020. I minori sono definiti “a rischio di reclutamento” se vivono nel raggio di 50 km da uno o più conflitti letali in cui vi è almeno un gruppo o una forza armata attivo che ha reclutato minori in un dato anno. 

[5] Dati ONU