Lavoro minorile(1): Save the Children, pochi gli sforzi per combattere lo sfruttamento in tutto il mondo. Circa 500.000 bambini lavoratori anche in Italia

Sono ancora troppi i bambini che in tutto il mondo lavorano, molti dei quali svolgono anche dei lavori nocivi e pericolosi. La maggior parte dei bambini lavoratori del mondo viene impiegato nel settore dell’agricoltura, e spesso quest’attività è svolta in seno alla famiglia, ma ce ne sono anche molti che sono costretti a lavorare per estinguere un debito (bonded labour), o che sono vittime di tratta e sfruttamento sessuale, inseriti nei circuiti della pedopornografia, o ancora impiegati per ingrossare le fila di eserciti di bambini soldato.

Sono concentrati principalmente nell’Africa subsahariana, nell’area dell’Asia Pacifico e nell’America Latina e Caraibica. Ma anche in Italia esiste un esercito silenzioso di baby lavoratori, circa mezzo milione, che hanno meno di 15 anni e che sono appartengono alle fasce più vulnerabili, come ad esempio i minori stranieri (2). Lo sottolinea Save the Children, la più grande organizzazione internazionale indipendente che lavora per migliorare concretamente la vita dei bambini in Italia e nel mondo, alla vigilia della Giornata internazionale contro lo sfruttamento del lavoro minorile, che si celebrerà il prossimo 12 giugno.

“Una povertà sempre più diffusa unita alla difficoltà di andare a scuola e ricevere un’istruzione adeguata sono alcune delle principali cause del coinvolgimento e sfruttamento di milioni di bambini e bambine nel lavoro minorile a livello globale. Un fenomeno che si può combattere e sradicare agendo su più livelli: con incisive politiche e interventi di riduzione della povertà, assicurando adeguata protezione ai minori vittime di sfruttamento lavorativo, garantendo ai minori costretti a lavorare accesso ad un’educazione flessibile e gratuita che permetta loro di affrancarsi dalla condizione di sfruttamento e di costruirsi un futuro diverso”, afferma Valerio Neri, Direttore Generale di Save the Children per l’Italia.

In Italia, nonostante esista una difficoltà di fondo a monitorare il fenomeno, secondo alcuni studi (3) esistono dei fattori di rischio che contribuiscono a far aumentare la probabilità che un minore si trovi precocemente inserito nel mondo del lavoro: si tratta di minori maschi, di nazionalità straniera, che vivono in una famiglia mono-genitoriale o in un nucleo familiare con più minori, e risiedono in un territorio con un alto tasso di disoccupazione. Inoltre molti appartengono a famiglie monoreddito o con un reddito inferiore al 50% della media nazionale.

Nei paesi sviluppati, il lavoro entra nei percorsi di crescita di bambini ed adolescenti in modi differenti e per diversi motivi rispetto ai paesi del sud del mondo”, continua Valerio Neri. “Innanzitutto c’è una sostanziale differenza legata all’età d’accesso al lavoro, poiché mentre nei paesi in via di sviluppo anche i minori in erà prescolare vengono coinvolti, nei paesi occidentali, in particolare europei, il lavoro di minori di 15 anni riguarda esclusivamente la fascia preadolescenziale. Inoltre, mentre in molti paesi l’esperienza lavorativa ha una valenza pressochè totalizzante, in Europa, essa viene svolta in genere contemporaneamente alla frequenza scolastica.”

In Italia, però, se si confrontano le esperienze dei minori stranieri e di quelli italiani che lavorano, i primi il più delle volte, continuano ad andare a scuola, mentre per quelli italiani si nota una maggiore tendenza ad assentarsi da scuola a lungo o addirittura ad interrompere la frequenza.

Le esperienze di lavoro dei minori migranti nel nostro paese si realizzano prevalentemente all’interno del gruppo familiare, mentre al contrario, tra i minori italiani si registra la quota più alta di lavoro presso terzi. Esiste una forte diversità anche tra i luoghi di lavoro dei minori stranieri rispetto a quelli degli italiani: tra i primi, 1 su 3 lavora in strada come venditore ambulante o in alcuni casi svolgendo attività di accattonaggio, mentre i secondi dichiarano di lavorare prevalentemente in ambienti “più protetti” quali negozi, bar, ristoranti.

I minori lavoratori a Roma: la ricerca partecipata di Save the Children

A Roma, in particolare Save the Children ha realizzato una Ricerca partecipata sul lavoro minorile e le peggiori forme di sfruttamento del lavoro minorile a Roma, con l’obiettivo di raccogliere e analizzare testimonianze e storie di lavoro minorile e di sfruttamento lavorativo, in particolare di minori migranti, neocomunitari e minori italiani a rischio di marginalità ed esclusione sociale. La peculiarità della ricerca è che è stata condotta da peer researchers, cioè ragazzi che per età, esperienze , condizioni di vita o progetto migratorio sono molto vicini ai ragazzi intervistati e che sono stati accompagnati nella posizione di ricercatori.

I ragazzi intervistati risultano principalmente impiegati nella ristorazione (pizzaiolo, barista, cameriera), edilizia (muratore), artigianato, ma anche attività illegali e di sfruttamento (borseggio, combattimenti clandestini), mendicità, prostituzione. Nella maggior parte dei casi (40 su 62) i ragazzi e le ragazze risultano impegnati per 6-9 ore al giorno, ma in alcuni casi anche tra le 9 e le 12 ore o addirittura “senza limite” nel caso di attività come mendicità e prostituzione in cui viene stabilita una cifra giornaliera da dover raggiungere ad ogni costo, indipendentemente dalle ore necessarie per farlo.

Per quanto riguarda invece il rapporto tra età e tipo di lavoro, è significativo come i bambini più piccoli – cioè di 8, 11, 12 anni – siano prevalentemente coinvolti in mendicità e attività illegali. Per quanto riguarda infine la frequenza della scuola, in contemporanea con l’attività lavorativa, solo in 23 casi su 61 essa è attestata e soltanto 1 intervistato su 42 ha dichiarato di aver assolto all’obbligo scolastico mentre lavorava.  

“Grazie al rilevante contributo dei ricercatori alla pari la nostra ricerca ci ha permesso di avvicinare e raggiungere ragazzi che difficilmente sarebbero raggiungibili con dei metodi tradizionali di indagine. Grazie alle loro testimonianze sono emersi dei nodi cruciali relativi al lavoro minorile e allo sfruttamento del lavoro di questo specifico gruppo di minori nell’area romana, quali la necessità dei ragazzi di contribuire all’economia familiare, la sovrapposizione che esiste tra lavoro minorile e lavoro nero, il considerare come lavorative attività illegali e, infine, la difficoltà di conciliare il lavoro con la scuola, ma anche con il tempo libero.", prosegue Valerio Neri. "Inoltre sono stati i ragazzi stessi a farci capire che il lavoro minorile diventa nocivo e inaccettabile quando lede la loro dignità, i loro diritti e quando non offre nessuna opportunità di crescita e di futuro. Alla luce di ciò è fondamentale una specifica attenzione alla conciliazione fra scuola e lavoro, sviluppando percorsi che permettano a questi minori di coniugare la qualità dell'istruzione con l'accesso al mondo del lavoro disincentivando così la dispersione scolastica e il loro coinvolgimento in lavori scarsamente qualificanti o addirittura in attività illegali o di sfruttamento.”

“In questa fase storica segnata da una generale crisi economica e sociale”, conclude Valerio Neri, “il rischio che sempre più minori – spinti dall’impoverimento delle famiglie –si ritrovino a lavorare è molto forte. E’ quindi necessario raddoppiare gli sforzi affinché tutto ciò non accada, in modo da garantire adeguato sostegno, protezione e aiuto a tutti quei ragazzi coinvolti in attività lavorative nocive o addirittura sfruttati”.

NOTE
1) All’interno della piu’ grande categoria di lavoro minorile, Save the Children distingue tra child work, ovvero attivita’ economiche lecite che non violano i diritti del bambino, child labour, quale sfruttamento del lavoro minorile che si traduce in estreme violazioni de diritti, e peggiori forme di lavoro minori, che ricomprendono schiavitu’, prostituzione e sfruttamento in attivita’ illecite e conflitti armati. Il limite tra lavoro consentito, sfruttamento e peggiori forme, e’ segnato da Convenzione ILO 138 (1973) sull’eta’minima al lavoro, e Convenzione ILO 182 sulle peggiori forme di sfruttamento del lavoro minorile. Save the Children, basando il proprio impegno sulla Convenzione sui Diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza (1989), lavora per la tutela e la promozione dei diritti dell’infanzia. Al fine di ciò, relativamente al coinvolgimento dei minori in attività di lavoro precoci, il suo obiettivo primario è far sì e assicurare che bambine e bambini siano protetti da forme di lavoro nocive. In tale ottica Save the Children non accetta ne’ una condanna totale del lavoro minorile, ne’ un approccio che inequivocabilmente lo promuova. Questa posizione si fonda sulla consapevolezza che il lavoro minorile non rappresenti un’attivita’ sempre e comunque negativa per i bambini. Come dichiarato e sostenuto da molti bambini lavoratori anche attraverso interviste, accanto a forme di lavoro minorile che violano i diritti dell’infanzia, ve ne sono altre che possono aiutare lo sviluppo psico-fisico e il sostentamento del bambino stesso.
2) Fonte: Ires, Save the Children, “Minori al lavoro. Il caso dei minori migranti”, Casa Editrice Ediesse, 2007.
3) Idem

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