Libia, Save the Children: il Governo dichiara chiusa l’emergenza umanitaria ma il flusso di minori provenienti dalla Libia non si ferma. A forte rischio la loro accoglienza

Sono oltre 300 i minori migranti giunti negli ultimi 3 mesi a Lampedusa. Le drammatiche testimonianze di quelli arrivati dalla Libia.

In coincidenza con la presenza a Roma del Presidente del Congresso Nazionale Generale della Libia Mohammed al-Mgarief, e a pochi giorni dall’Ordinanza di Protezione civile (n. 33 del 28 dicembre 2012) con cui il Governo ha chiuso lo stato di emergenza umanitaria nel territorio nazionale in relazione all’eccezionale afflusso di cittadini appartenenti ai Paesi del Nord Africa, Save the Children esprime disappunto e forte preoccupazione per il provvedimento che ignora la reale situazione sul terreno - cioè il costante arrivo di questi minori migranti dalla Libia e dal Nord Africa - e non dà garanzie di loro adeguata protezione né assicura la necessaria copertura economica per la loro accoglienza.

E tutto questo a fronte di drammatici racconti che i minori migranti, supportati da Save the Children all’arrivo sull’isola di Lampedusa, continuano a riferire agli operatori dell’organizzazione : In Libia ha vissuto uno dei peggiori periodi della sua vita, racconta F.16 anni (la storia completa in calce, di origine eritrea e arrivato a Lampedusa il 15 dicembre 2012. Dorme nel Centro di Pronta Accoglienza in uno stanzone su un materasso posto a terra insieme ad altri 22 minori. Ha passato la notte di Natale dormendo all’aperto perché il suo posto è stato preso da altri.

Un gruppo di minori eritrei approdati a Lampedusa il 15 dicembre ha scritto una lettera allo Stato italiano e all’UNHCR in cui, tra l’altro (la versione integrale in calce al cs), raccontano delle persecuzioni subite e della necessità di scappare dal proprio paese e successivamente anche dalla Libia:

“Tutti quelli che sono qui (n.d.r. a Lampedusa) sono stati in carcere in Libia (per la maggior parte a Ghanfouda). Siamo stati lì per un tempo che va da uno a 6 mesi. Quando è lì, nessuno sa quanto ci resta. L’unica salvezza è scappare. Tutto questo lo abbiamo visto poco tempo fa. Ci sono tantissimi rimasti in prigione che sono ancora là. In Libia un migrante non può girare per il paese liberamente, specialmente se di colore. Poi ti obbligano a cambiare religione. Se hai croci o cose simili te li strappano. Ti obbligano con la forza in prigione o anche per strada, in modo violento, provano a convincerti a diventare musulmano. Per questi motivi abbiamo dovuto lasciare la Libia. Chi scappa si riunisce con i connazionali e si mette d’accordo con i libici per partire….”.

I minori migranti che arrivano a Lampedusa dalla Libia o dal Nord Africa si lasciano alle spalle esperienze drammatiche e hanno assoluto bisogno di assistenza e protezione”, dichiara Raffaela Milano, Direttore dei Programmi Italia-Europa di Save the Children. “Per tutta risposta li facciamo stare giorni e giorni in un centro di prima accoglienza (il CSPA di Lampedusa, ndr) dove la capienza massima è 250 persone ma ne sono state ospitate, anche di recente, fino a mille, in condizioni igieniche molto precarie e a stretto contatto con adulti, in situazione di pericolosa promiscuità. In più, dal primo gennaio – da quando cioè è entrata in vigore l’ordinanza che sancisce la chiusura dell’emergenza umanitaria – non siamo più neanche in grado di garantire a questi ragazzi l’adeguata accoglienza nelle strutture che, per legge, dovrebbero ospitarli e proteggerli sulla terraferma”.

Per quanto riguarda i minori non accompagnati
l’ordinanza infatti a partire dal 1° gennaio 2013 non annovera tra i compiti ordinari trasferiti al Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali il collocamento dei minori, né la copertura degli oneri dell’accoglienza con conseguente necessità che siano le Autorità di rintraccio dei minori non accompagnati (in specie Prefettura e Questura di Agrigento) a dover provvedere quanto prima al collocamento dei minori non accompagnati in un luogo sicuro.

"E’ evidente che siamo molto lontani da quanto, come Save the Children, chiediamo con insistenza ormai da tempo e cioè la predisposizione di un sistema nazionale che assicuri un’accoglienza adeguata, diffusa sul territorio nazionale, con risorse certe dedicate ed una chiara definizione dei livelli di responsabilità tra Stato centrale, Regioni e Comuni”, prosegue Raffaela Milano. “Occorre poi mettere a punto procedure chiare che garantiscano protezione a tutti i minori dal loro arrivo, un rapido e sicuro trasferimento sul territorio nazionale e collocamento in luogo sicuro. E’ inoltre fondamentale garantire che, attraverso procedure adeguate, per ogni minore venga identificata la migliore soluzione di protezione e accoglienza per il lungo periodo, nel suo superiore interesse".

Negli ultimi 100 giorni sono oltre 300 i minori migranti arrivati a Lampedusa. Attualmente sono 36 i minori non accompagnati (26 eritrei, 1 somalo, 2 del Gambia, 2 della Guinea e 5 del Mali) con un’età compresa tra i 15 ed i 17 anni presso il CSPA. Anche se le condizioni di accoglienza sono migliorate (sono arrivati ieri nuovi materassi e sono stati riparati i servizi), la maggior parte dei minori non accompagnati non ha ancora un posto letto.

Per ulteriori informazioni:

Ufficio Stampa Save the Children Italia
tel. 06.48070023-071-081-001
press@savethechildren.it
www.savethechildren.it

Le testimonianze di alcuni minori migranti non accompagnati


F. 16 anni. In Libia ha vissuto uno dei periodi peggiori della sua vita.
Viveva nel sud dell’Eritrea. È partito dal suo Paese ad aprile 2012. Ha attraversato l’Etiopia e il Sudan prima di arrivare in Libia. In Libia è stato in carcere. I militari sceglievano i più piccoli per lavorare all’esterno del carcere perché ritenevano meno probabile che riuscissero ad organizzare una fuga. Essendo lui uno dei più piccoli è stato portato in un grande deposito a Bengasi. F. doveva caricare e scaricare le munizioni dei carri armati . Per sollevarne una sola munizione era necessaria la forza di 2 ragazzi. Molti suoi amici (di diverse nazionalità: eritrei, bengalesi e sudanesi) si sono fatti male durante questo lavoro. Un giorno, durante l’orario di lavoro, insieme ad altri 5 ragazzi è riuscito a scappare verso Tripoli, dove ha incontrato dei suoi connazionali con cui ha iniziato a organizzare il viaggio verso l’Italia.

Non avendo i soldi per pagare il viaggio ai trafficanti (libici), questi hanno contattato la sua famiglia chiedendo loro 1.000 dollari. Solo dopo aver ricevuto i soldi (che la famiglia ha avuto con molta difficoltà, indebitandosi) è riuscito a partire per l’Italia. F. è arrivato a Lampedusa il 15 dicembre 2012. Dorme nel CPSA in uno stanzone su un materasso posto a terra insieme ad altri 22 minori. Ha passato la notte di Natale dormendo all’aperto perché il suo posto è stato preso da altri.

Lettera scritta allo Stato italiano e all’UNHCR da un gruppo di minori (18 eritrei e 1 somalo fra i 15 e i 17 anni) dei 36 arrivati a Lampedusa il 15 dicembre 2012 (uno il 24 novembre 2012).

“GIVE RIGHTS FOR US!” Allo Stato italiano e all’Unhcr Siamo 18 eritrei e un somalo, e siamo rifugiati, abbiamo dei problemi, siamo perseguitati nei nostri paesi (per la politica, religione, l’etnia). Siamo minorenni perseguitati nel nostro Paese: ci costringono a lasciare gli studi per fare il servizio militare e questo non è giusto; lo Stato ci costringe a rinunciare alla nostr religione. Dall’Eritrea siamo passati per il Sudan. Questo viaggio dura da 6 a 9 giorni a piedi. In questo tragitto puoi essere preso dai “rashaidah”, un gruppo etnico che rapisce le persone e le porta nel Sinai, in Egitto.

Chiedono un riscatto alla famiglia di 35/40.000 dollari. Finchè non ricevono i soldi ti tengono chiuso e ti torturano. Uno di noi c’è stato. Molti muoiono a causa dei maltrattamenti , mentre a chi non paga possono essere presi gli organi (e anche morire). Chi arriva in Sudan viene portato al campo di Shagarab dove non hai nessun diritto e sei costretto a scappare e andare in Libia viaggiando attraverso il Sahara.

Il viaggio dura 9-10 giorni in macchina. Qui c’è la sete e la fame e per questo qualcuno può morire. Chi riesce a passare il deserto viene preso come prigioniero senza processo, senza andare davanti a un giudice, senza processo. E non sai quanto resterai qui. In carcere, ci sono le torture. Siamo stati picchiati soprattutto per divertimento delle guardie quando erano ubriache. Colpiscono soprattutto sotto la pianta del piede. Il cibo è un pezzo di pane ogni 48 ore. Tutti quelli che sono qui (n.d.r. i ragazzi consultati) sono stati in carcere in Libia (per la maggior parte a Ghanfouda), siamo stati lì per un tempo che va da uno a 6 mesi. Quando è lì, nessuno sa quanto ci resta. L’unica salvezza è scappare. Tutto questo lo abbiamo visto poco tempo fa. Ci sono tantissimi rimasti in prigione che sono ancora là. In Libia un migrante non può girare per il paese liberamente, specialmente se di colore. Poi ti obbligano a cambiare religione. Se hai croci o cose simili te li strappano. Ti obbligano con la forza in prigione o anche per strada, in modo violento, provano a convincerti a diventare musulmano. Per questi motivi abbiamo dovuto lasciare la Libia. Chi scappa si riunisce con i connazionali e si mette d’accordo con i libici per partire.

In generale durante il viaggio in mare capitano tanti problemi, per esempio noi dopo 2 ore che siamo partiti siamo dovuti tornare indietro, in Libia per cambiare la barca per poi ripartire. Dopo 9 ore di viaggio siamo stati soccorsi. Siamo a Lampedusa da 24 giorni (uno di noi da 45 giorni). Il primo problema è che non ci sono abbastanza medici. Uno di noi ne aveva bisogno e non ha avuto risposta. I primi 15 giorni siamo rimasti con una coperta senza materassi. Dal bagno arriva l’acqua nella stanza e non ci fanno pulire. La notte di Natale la nostra stanza è stata presa da altri, appena arrivati, che hanno buttato fuori tutte le nostre cose. Abbiamo dovuto dormire all’aperto. Non abbiamo passato un buon Natale. Ci sono dei grandi che di notte si ubriacano e vengono a darci fastidio e a volte ci picchiano. Tutte le notti succede qualcosa di brutto.In Italia ci aspettiamo di poter studiare e trovare poi un lavoro, chi per mantenere la famiglia, chi per trovare la pace e l’indipendenza.

Alcuni di noi hanno familiari in Europa e vogliono raggiungerli. Chiediamo di fare tutto il possibile per farci restare qui meno tempo possibile e farci partire. Chiediamo che vi prendiate cura di noi. Chiediamo che i nostri diritti siano rispettati.