Minori e Internet: “on-line” e “disconnessi”, i due volti dei nativi digitali
Da un lato gli “on-line” e dall’altra i “disconnessi”, due facce della stessa medaglia che racconta la generazione dei “nativi digitali”. I primi sono giovanissimi – secondo una ricerca di IPSOS[1] per Save the Children – quasi sempre connessi, anche grazie agli smartphone, usano WhatsApp (59%) e Instagram (36%), conoscono abbastanza bene le regole che governano la privacy nella Rete (51%), ma non se ne preoccupano più di tanto (57%). Vivono relazioni “virtuali” nei gruppi di conversazione sulle applicazioni di messaggistica dei loro smartphone, spesso anche con persone che non conoscono direttamente (41%): uno su quattro (24%) invia messaggi, video o foto con riferimenti sessuali a gruppi dove non conosce tutti i partecipanti e uno su tre (33%) si dà appuntamento con qualcuno conosciuto solo attraverso questi gruppi.
E poi ci sono quelli che dalla Rete sono fuori, i “disconnessi”: un’elaborazione dei dati ISTAT specifici per i minori[2] ci dice che sono 452.000 gli adolescenti che non hanno mai usato Internet, l’11,5% dei ragazzi che vivono in Italia tra gli 11 e i 17 anni, con una percentuale più elevata nel Sud e nelle Isole (17,4%, 270.000). La presenza di adolescenti disconnessi è maggiore nelle famiglie che dichiarano di vivere in condizioni economiche “assolutamente insufficienti” (22,7%) o con “risorse scarse” (14,2%), mentre è estremamente ridotta in quelle che dichiarano di vivere in condizioni economiche “ottime o adeguate” (6,5%). Disconnessi da Internet, ma anche da altre opportunità educative e culturali, che li allontanano ancora di più dai loro coetanei: tra coloro che non hanno mai usato Internet sono 269.000 i ragazzi che non hanno letto nemmeno un libro nell’ultimo anno e 187.000 di loro non sono neppure mai andati al cinema nello stesso periodo.
Questa la fotografia di Save the Children – l’Organizzazione che dal 1919 lotta per salvare la vita dei bambini e difendere i loro diritti – che, come ogni anno, monitora il rapporto tra minori e nuove tecnologie, a pochi giorni dal Safer Internet Day 2015 (10/2/2015).
“I nuovi media rappresentano una grande opportunità per i nostri ragazzi, per la loro crescita personale e formativa. L’accesso a queste tecnologie è un diritto che dovrebbe essere garantito a tutti i ragazzi, così come un’adeguata formazione nell’utilizzo di questi strumenti e la sicurezza di potersi muovere in un ambiente digitale che non nasconda rischi o pericoli”, afferma Valerio Neri, Direttore Generale di Save the Children Italia. “Il rischio è quello di trovarci di fronte a dei “nuovi analfabeti”, che non hanno la possibilità di utilizzare le nuove tecnologie o che non hanno le necessarie competenze per farlo. È fondamentale garantire ai nostri adolescenti il diritto all’accesso, alla formazione e alla sicurezza di queste tecnologie e le istituzioni e la scuola in primis, le famiglie e le aziende ICT devono essere più consapevoli di questa responsabilità ”.
L’identikit dei “connessi”: giovanissimi e “on-line”
Sono giovanissimi, camminano per la strada, mangiano e dormono, sempre accanto al loro smartphone, che resta acceso anche a scuola: per il 15% degli intervistati, infatti, i professori lo consentono mentre per il 26% non ci sono controlli e i ragazzi ne approfittano. Hanno a disposizione uno strumento con grandi risorse, ma anche potenzialmente pericoloso se non usato in maniera corretta e il 58% dei teenager racconta di aver imparato ad utilizzarlo da solo. Questo il primo dato che emerge dalla ricerca IPSOS per Save the Children dal titolo “I nativi digitali conoscono davvero il loro ambiente?”, compiuta su un campione di ragazze e ragazzi tra i 12 e i 17 anni.
Grazie a smartphone e tablet, che sono sempre più diffusi a scapito di tecnologie come i lettori mp3 e le webcam, ormai integrate nei dispositivi di nuova generazione, i nostri adolescenti sono connessi da qualsiasi luogo e in qualsiasi momento della giornata. Le “relazioni sociali” sono protagoniste delle loro interazioni: sempre di più i ragazzi che utilizzano Whatsapp (59% nel 2015, con un aumento di 39 punti percentuali dal 2013), cresce l’utilizzo di Instagram (36% nel 2015, con un aumento di 27 punti dal 2013) e diminuisce la loro presenza su Facebook (75% nel 2015, 12 punti in meno dal 2013), mentre meno di 1 su 3 utilizza Twitter (29%). Significativo anche l’uso delle App dedicate alla musica come Spotify (11%), con una percentuale di utenti quasi raddoppiata nell’ultimo anno.
Adolescenti connessi e senza paura: come si relazionano sulla Rete i nativi digitali
Grazie alle nuove tecnologie in mobilità, le relazioni virtuali sulla Rete sono ancora più accessibili: se da un lato diminuiscono i ragazzi che affermano che sono ancora diffuse l’invio e la ricezione di messaggi con riferimenti al corpo o all’affettività sui social network (-4% e -7% dal 2013), dall’altro aumenta il numero di quelli che – secondo quanto riferiscono gli intervistati – si danno appuntamento di persona con qualcuno conosciuto solo su Internet (35% nel 2015, + 7 punti percentuali dal 2013) e quelli che gli danno il proprio numero di cellulare (39% nel 2015, + 6 punti percentuali dal 2013).
Preoccupante è il tipo di esperienze che questi ragazzi vivono sulla Rete: il 46% degli intervistati afferma che lui/lei o un amico/a ha scoperto che la persona incontrata in Rete non era di fatto quella che diceva di essere, esperienza vissuta direttamente per il 15% del campione. Il 35% degli intervistati afferma la ricorrenza di atti di cyberbullismo, nei confronti degli amici o di se stessi (9%).
Se da un lato questi ragazzi possono vivere situazioni di disagio utilizzando la Rete, una parte di loro sembra non percepire il relativo pericolo o non esserne totalmente consapevole. Ad esempio, solo per il 38% dei ragazzi le molestie via cellulare/email/internet rappresentano una minaccia. In più, la percentuale di chi sa che cos’è il pulsante “segnala abuso” su un social non supera il 59% e scende al 53% tra i 12 e i 13 anni.
Su Facebook, WhatsApp e altre App di messaggistica istantanea i comportamenti più “a rischio”
Anche se dalla ricerca emerge che una contrazione dell’utilizzo di Facebook tra gli adolescenti, sono ancora molti a usarlo. Tra quelli che affermano di avere un account sul più popolare dei social network, il 39% degli intervistati dichiara di essersi iscritto a 12 anni, il 32% ha dichiarato di averne 18 al momento dell’iscrizione con il rischio quindi di ricevere anche contenuti non adeguati alla loro età. Più di uno su tre (36%) , inoltre, non ha scelto un livello di privacy “ristretto” sul proprio profilo.
Le sorprese arrivano dall’utilizzo di applicazioni di messaggistica istantanea come WhatsApp, veri e propri social network, che non sempre vengono percepiti come tali dai ragazzi. Colpisce in particolare l’utilizzo dei gruppi di conversazione che possono essere creati grazie a questo tipo di App: il 28% degli intervistati partecipa ad oltre 10 gruppi e il 41% afferma di non conoscere personalmente tutte le persone che sono nei gruppi a cui partecipa. Quasi un adolescente su cinque non si pone alcun problema su che tipo di informazione o dati invia a questi gruppi, come ad esempio foto e video che li ritraggono personalmente o che ritraggono altre persone che conoscono, o messaggi vocali. Il 66% dei ragazzi non sa che su WhatsApp, ad esempio, non esiste la possibilità di bloccare qualcuno che gli dà fastidio all’interno di un gruppo.
Secondo il 33% degli intervistati sarebbe un fenomeno abbastanza comune tra i loro amici quello di darsi appuntamento di persona con qualcuno conosciuto solo in un gruppo WhatsApp o di App simili. Uno su tre sarebbe solito inviare dati personali, come il proprio nome, la scuola frequentata o l’indirizzo di casa ad un gruppo virtuale, frequentato anche da persone che non conosce. Infine, quasi uno su quattro – secondo quanto riportato dagli intervistati – invierebbe a questi gruppi messaggi con video e foto con riferimenti sessuali.
“Incoscienti digitali” o “sapienti digitali”?
Anche se sembrerebbe che questi ragazzi si mettano spesso in condizioni di rischio con i loro comportamenti, gli adolescenti non sono però “incoscienti digitali”. Secondo la ricerca IPSOS questi ragazzi sembrerebbero essere piuttosto informati: per la loro età non sono del tutto all’oscuro delle regole che stanno alla base degli strumenti che utilizzano e si muovono con disinvoltura nello “Stato libero di Internet”. Piuttosto – come è nella natura degli adolescenti – non si preoccupano troppo delle regole e della prudenza. Il 79% degli intervistati, infatti, sa bene che “nessuno possiede Internet”, ma resta un 17% con le idee confuse che crede che Bill Gates e Barack Obama ne siano i proprietari. Più disorientati di fronte alla conoscenza del “troll”, che per quasi uno su cinque (19%) è solo una creatura leggendaria della cultura scandinava e per più di uno su tre (36%) è un virus che attacca e distrugge i contenuti su internet. Meno della metà degli intervistati (41%) sa che si tratta di un soggetto che posta messaggi provocatori o irritanti. Sono utenti in parte consapevoli delle “regole del gioco”: uno su due (51%) sa che con “Termini e condizioni d’uso” si intende l’insieme delle regole a cui ci si deve attenere per utilizzare un sito, un blog o un social network, anche se più della metà (57%) le accetta passivamente, senza leggerle o facendolo con poca attenzione. Per quanto riguarda la privacy, il 58% sa che un “cookie” serve a tracciare le preferenze di chi naviga in Internet e circa il 73% sa che i gestori devono rispettare delle regole sui dati raccolti che li riguardano.
Il 75% dei ragazzi sa che non tutti i contenuti che sono in Internet sono liberi e si possono copiare. Ma quando si parla di Wikipedia, il 64% di loro copia materiale per le ricerche scolastiche, utilizzandolo perlopiù in modo passivo senza contribuire alla crescita del sapere collettivo della Rete. Solo 1 su 4 (24%), infatti, ha creato una nuova voce sull’enciclopedia sociale di internet o ha aggiunto un contenuto ad una nuova voce già esistente. Per cercare informazioni utilizzano i motori di ricerca come Google (76%), ma su come questi funzionino esattamente e quali siano le regole che definiscono l’indicizzazione dei risultati delle ricerche sono molto più confusi. Il 15% crede che i primi risultati siano i preferiti del gestore del motore di ricerca, l’11% pensa che siano i più affidabili, l’8% non ne ha idea e il 4% è convinto che compaiano in maniera casuale.
“I disconnessi” e il digital divide: nuovi “analfabeti” tra povertà economica e povertà educativa
Se da un lato l’ampia maggioranza dei ragazzi ha acquisito una certa familiarità con gli strumenti digitali, che attraversa tutti gli aspetti della propria vita personale, familiare e scolastica, c’è una significativa minoranza della “generazione 2.0” che è completamente esclusa da una risorsa preziosa per la propria crescita. Secondo l’elaborazione dei dati ISTAT, infatti, sono ben 452mila i ragazzi e le ragazze tra gli 11 e i 17 anni che non hanno mai utilizzato Internet, l’11,5% del totale.
Che cosa c’è dietro la “disconnessione”? La situazione economica delle famiglie di appartenenza sembra essere un elemento estremamente significativo. È infatti tra le famiglie che dichiarano di vivere in condizioni economiche “assolutamente insufficienti” che si registra un 22,7% degli adolescenti “disconnessi”, mentre tra quelle con “risorse scarse” sono il 14,2%. La conferma di un forte collegamento tra il livello economico delle famiglie e il digital divide dei ragazzi arriva dal dato dei “disconnessi” che appartengono a famiglie che dichiarano di avere risorse economiche adeguate o ottime, che si abbassa fino al 6,5%. Anche il dato geografico è molto significativo: al Sud e nelle Isole la percentuale dei “disconnessi” sul totale dei ragazzi della loro età è del 17,4%, pari a 270.000, mentre al Centro si abbassa all’8,2% (60.000) e al Nord si assottiglia al 7,4% (122.000).
La disconnessione da Internet si associa spesso con l’assenza delle altre opportunità culturali che configurano una vera condizione di “povertà educativa”[3]. Tra quelli che hanno usato Internet negli ultimi 3 mesi, ben il 72,7% ha vissuto negli ultimi 12 mesi almeno tre diverse esperienze culturali significative, come ad esempio leggere un libro, andare ad un museo, a teatro o al cinema o assistere ad un evento sportivo[4]. Tra i “disconnessi” questo dato scende drasticamente al 38,8%. Più di un adolescente su cinque (21,1%) tra i disconnessi non ha infatti svolto nessuna di queste attività culturali negli ultimi 12 mesi, a fronte di un 5,3% tra gli “on-line”. E se solo il 57,3% degli adolescenti connessi, hanno letto almeno un libro nell’ultimo anno, questa percentuale si abbassa di 16,7 punti percentuali tra i ragazzi che non hanno usato Internet (40,6%). Il 48,2% degli adolescenti “on-line” ha visitato un museo, e/o una mostra e/o un monumento o un sito archeologico nel corso degli ultimi 12 mesi e il dato scende al 25,7% tra i disconnessi (-22,5 punti percentuali). Ben 187.000 adolescenti che non si sono connessi ad Internet non sono entrati nemmeno al cinema nell’ultimo anno. Ancora più significativo per raccontare l’esclusione di questi ragazzi è il dato su quelli che hanno dichiarato di aver letto quotidiani almeno una volta a settimana e/o riviste settimanali e/o qualche periodico negli ultimi 12 mesi: se tra i ragazzi connessi il dato percentuale è del 41,9%, tra quelli che non si sono connessi alla Rete questo valore scende pericolosamente al 18,4%.
“L’accesso ad Internet e alle tecnologie digitali dovrebbe essere un diritto per tutti i ragazzi, al pari dell’istruzione”, denuncia Raffaela Milano, Direttore Programmi Italia-Europa di Save the Children. “Questi dati ci fanno scoprire che il “digital divide” non è un problema che riguarda solo gli adulti e gli anziani, ma investe anche la “generazione 2.0”. Sono dati allarmanti, perché sono un segnale di un vero e proprio “nuovo analfabetismo”. Oggi un ragazzo che non si è mai connesso ad Internet è di fatto un ragazzo disconnesso non solo dalla Rete, ma anche dalla realtà che lo circonda e difficilmente potrà recuperare negli anni questo divario educativo che si è creato durante l’adolescenza. Chiediamo un impegno da parte del Governo perché le scuole siano messe nelle condizioni di colmare questo digital divide che discrimina i ragazzi e le ragazze delle famiglie più povere e meno istruite rispetto ai coetanei. Non solo con le “lim” ma con un cambiamento complessivo del modo di insegnare e di apprendere. Il fatto che all’assenza di opportunità di accedere alla Rete si sommi spesso anche la mancanza di altre opportunità culturali, crea di fatto una barriera insormontabile allo sviluppo delle potenzialità e dei talenti di questi ragazzi, pregiudicandone il futuro”. .
Le attività di Save the Children
Save the Children promuove un uso consapevole di Internet e nuovi media da parte dei bambini e degli adolescenti in molti dei suoi progetti, in particolare attraverso “Generazioni Connesse” (SIC - Safer Internet Center italiano), progetto nazionale nato nel 2012 e co-finanziato dalla Commissione Europea, coordinato dal Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, e realizzato in partnership con Autorità Garante per l’Infanzia e l’Adolescenza, Polizia Postale e delle Comunicazioni, Telefono Azzurro, Cooperativa E.D.I., Movimento Difesa del Cittadino. Il SIC prevede interventi di sensibilizzazione, formazione e attività di peer-education nelle scuole, è un polo di riferimento anche per educatori e genitori, e offre inoltre due servizi per gli utenti della Rete: un servizio “hot line” che consente di segnalare la presenza on line di materiale pedopornografico, e un servizio di “help line”, in grado di fornire supporto, in particolare a bambini, adolescenti e genitori, su esperienze negative o problematiche nell’utilizzo dei nuovi media. Nell’ambito del SIC, Save the Children ha operato in circa 100 scuole in 18 regioni italiane raggiungendo in 2 anni oltre 30.000 ragazzi.
Per contrastare la povertà educativa, cioè la mancanza di opportunità formative per tanti minori, Save the Children ha lanciato la campagna di sensibilizzazione e intervento Illuminiamo il futuro, creando 11 Punti Luce in 8 regioni italiane (Sicilia, Calabria, Puglia, Campania, Lazio, Liguria, Piemonte, Lombardia): sono spazi ad alta densità educativa in zone prive di servizi, dove bambini e adolescenti possono studiare, giocare, avere accesso ad attività sportive, culturali e creative, tra cui laboratori per un uso appropriato di Internet e accompagnamento nell’utilizzo del computer per lo studio e i compiti, e nei casi di particolari condizioni accertate di povertà, viene predisposta una dote educativa individuale volta ad esempio l’acquisto di libri e materiale scolastico, l’iscrizione a un corso di musica, sportivo, di informatica, o la fornitura di un pc, la partecipazione ad un campo estivo o altre attività educative. Sono circa 1.800 i bambini che nel 2014 hanno frequentano i Punti Luce aperti da Save the Children in Italia. La previsione è di supportarne 4000 entro il 2015, assegnando 1.000 doti educative e di aprire ulteriori Punti Luce.
La ricerca IPSOS integrale è scaricabile alla pagina: www.savethechildren.it/pubblicazioni
Per ulteriori informazioni:
Ufficio stampa Save the Children Italia
06-48070023-81-63
www.savethechildren.it
ufficiostampa@savethechildren.org
[1] Ricerca effettuata da IPSOS per Save the Children, con metodologia CAWI dal 19 al 26 gennaio 2015 su un campione di 1003 adolescenti fra i 12 e i 17 anni, stratificato e casuale, selezionato in base a quote per sesso, età, area geografica.
[2] Elaborazione su dati ISTAT, specifici sulla fascia di età 11-17, dall’Indagine annuale “Aspetti della vita quotidiana” 2013
[3] Per “povertà educativa” si intende l’esclusione dalle opportunità formative in senso ampio, che comprendono cultura, sport, arte, socialità, ecc..
[4] Tra le attività svolte sono state considerate -> Almeno una volta negli ultimi 12 mesi: andare al cinema, visita a musei/mostre, monumenti/siti archeologici, spettacoli sportivi, teatro, concerti di musica o musica classica, discoteche/balere/night club/luoghi per ballare, lettura di un libro, lettura riviste settimanali, lettura periodici. Almeno una volta alla settimana negli ultimi 12 mesi: lettura di un quotidiano.