Yemen: ogni giorno tre bambini vengono uccisi nel conflitto
Dopo la Siria il Paese con il più alto numero di vittime a causa di armi esplosive nelle aree abitate da civili, denuncia il rapporto “Nessun luogo sicuro per i bambini dello Yemen”.
Ogni giorno almeno tre bambini vengono uccisi nello Yemen, nella maggior parte come conseguenza diretta delle armi esplosive a largo raggio, utilizzate nelle aree abitate da civili. Questa la denuncia contenuta nel rapporto di Save the Children dal titolo “Nessun luogo sicuro per i bambini dello Yemen” (Nowhere safe for Yemen’s children), che analizza con testimonianze e dati, l’impatto dei quotidiani attacchi aerei che utilizzano questo tipo di armi e delle terribili conseguenze in particolare sui bambini.
Sono 1500[1] i bambini che sono rimasti feriti o uccisi dall’inizio dell’escalation di violenze che ha coinvolto il Paese. Attualmente, dopo la Siria, lo Yemen ha il numero più alto di vittime a causa di armi esplosive in tutto il mondo. “L’impatto delle armi esplosive sui più piccoli, che sono fisicamente più vulnerabili, è particolarmente grave e spesso i bambini subiscono lesioni complesse che richiedono cure specialistiche e interventi chirurgici estremamente complessi”, spiega Edward Santiago, Direttore di Save the Children nello Yemen. “Le strutture ospedaliere e sanitarie che dovrebbero curarli però sono spesso danneggiate o distrutte da quelle stesse armi esplosive e anche quando ci sono, spesso non hanno attrezzature mediche sufficienti ad intervenire né il carburante necessario a far funzionare correttamente le strutture, a causa del blocco di fatto delle importazioni, dell’insicurezza e delle restrizioni all’accesso umanitario”.
A causa delle difficili condizioni del sistema sanitario nel Paese, sono infatti circa 14milioni le persone che nello Yemen non hanno la possibilità di ricevere vaccinazioni o antibiotici, con il rischio di morire per malattie prevenibili come la diarrea, la polmonite e la malaria. “Ormai sono 600 gli ospedali che sono stati chiusi perché danneggiati o perché non hanno forniture mediche e personale sufficiente a mandare avanti il servizio”, continua Edward Santiago.
Il report di Save the Children – l’organizzazione internazionale indipendente dedicata dal 1919 a salvare i bambini e difenderne i diritti - raccoglie le testimonianze di molti bambini che raccontano le drammatiche conseguenze dei bombardamenti, come quella di Zaid, che ha 15 anni e ha perso il fratello, rimasto ucciso durante un attacco aereo mentre stava giocando per la strada. “Appena ho sentito i rumori mi sono precipitato in strada per cercarlo”, racconta. “Ho visto tantissime persone in piedi intorno ai corpi dei morti e dei feriti e poi ho visto mio fratello disteso a terra, col corpo bruciato e senza più un braccio. Prima di quel momento non avevo paura, ma da allora resto sempre in casa, perché ho il terrore di andare per la strada”.
Quando le armi esplosive pesanti vengono utilizzate in aree densamente popolate come le città, i paesi e i villaggi, espongono i civili ad enormi rischi a causa degli effetti devastanti che hanno, ma anche dell’ampio perimetro che vanno a colpire. Ad ottobre scorso il Segretario Generale delle Nazioni Unite e il Presidente del Comitato Internazionale della Croce Rossa hanno chiesto di smettere di utilizzare armi esplosive nelle aree popolate. Queste armi infatti, per le loro caratteristiche, rimangono a terra inesplose e sono un pericolo continuo per i bambini, che possono rischiare di rimanere gravemente feriti o uccisi toccandole o camminandoci sopra. Save the Children, attraverso l’organizzazione partner YEMAC, ha già iniziato le attività di sminamento nelsud dello Yemen, così come l’attività di sensibilizzazione alle famiglie e ai bambini sui pericoli delle armi inesplose.
“Stavo giocando in strada e uno dei miei amici ha trovato una cosa strana per terra, l’ha presa e mentre ci stava giocando ha cominciato a sparare e pochi secondi dopo è esplosa. Eravamo tutti feriti e le persone che erano lì ci hanno portati in ospedale. Solo dopo ho saputo che tre dei miei amici erano morti e tra di loro anche il mio migliore amico. Sono stato in ospedale tanto tempo perché ho dovuto subire molte operazioni. Adesso odio tutti coloro che usano le armi”, racconta Mohammed, 10 anni.
Save the Children chiede un immediato cessate il fuoco nello Yemen. Nel frattempo è essenziale e urgente che tutte le parti in conflitto smettano di utilizzare armi esplosive all’interno di aree popolate da civili. “La riluttanza della comunità internazionale a condannare pubblicamente le perdite umane della guerra nello Yemen dà l’impressione che le relazioni diplomatiche e la vendita di armi vengano prima delle vite dei bambini”, aggiunge Santiago. “Il mondo non deve stare a guardare mentre i bambini vengono bombardati. Si deve esigere che la vita dei civili e le strutture civili, come gli ospedali, vengano protetti”.
Save the Children è presente con i suoi interventi in Yemen dal 1963. Dall’inizio dell’escalation delle violenze, l’Organizzazione ha raggiunto più di 400mila persone, tra cui quasi 230mila bambini, con interventi nell’ambito della salute, della nutrizione, della protezione e dei servizi necessari alla sussistenza delle famiglie. In particolare sono state allestite 77 strutture sanitarie fisse, affiancate da 25 squadre mobili di soccorso e sono stati implementati programmi di trattamento della malnutrizione e di primo soccorso psicologico, con l’allestimento di “Spazi a Misura di Bambino”. Sono inoltre stati distribuiti kit igienici, filtri per la potabilizzazione dell’acqua e taniche per lo stoccaggio e sono stati rimessi in funzione una serie di punti di distribuzione dell’acqua e servizi igienici. Infine sono stati forniti mezzi di sussistenza a circa 35mila famiglie.
Il rapporto “Nessun luogo sicuro per i bambini dello Yemen” (Nowhere safe for Yemen’s children) è scaricabile alla pagina: www.savethechildren.it/pubblicazioni
Per ulteriori informazioni:
Ufficio Stampa Save the Children Italia
06-48070023-81-63;
www.savethechildren.it
ufficiostampa@savethechildren.org
[1] Fonte, Nazioni Unite.