Notti di speranza e paure nel Mediterraneo sulla Vos Hestia
Gabriele Casini, Media Manager a bordo della nostra nave di ricerca e soccorso dei migranti nel Mediterraneo, ci racconta in una toccante testimonianza una delle operazioni di salvataggio più difficili, che ha richiesto ben due evacuazioni mediche in elicottero.
"La chiamata è arrivata durante il nostro quinto giorno in mare.
A mezzogiorno la Guardia Costiera italiana ha contattato la nostra nave e ci ha indicato le coordinate di una piccola imbarcazione in difficoltà, a più di 4 ore a est della nostra posizione.
Così la Vos Hestia, la nave di ricerca e soccorso nel Mediterraneo di Save the Children, è partita immediatamente e noi abbiamo iniziato la preparazione per il salvataggio. I giubbotti di salvataggio sono stati organizzati in sacche, pronti per essere distribuiti, i kit contenenti cibo, acqua e coperte sono stati organizzati sul ponte per essere consegnati alle persone portate a bordo e i componenti del team hanno indossato il loro equipaggiamento di protezione.
La tensione all’interno dell'equipaggio era alta. Negli ultimi giorni abbiamo affrontato numerose esercitazioni, tutte volte a prepararci a questo momento cruciale. Per molti membri del team, questo è stato anche il primo soccorso.
Ognuno di noi aveva già preso la posizione assegnatagli, quando abbiamo avvistato all’orizzonte un piccolo oggetto galleggiante. Una volta avvicinati, ho visto una piccola barca bianca e rossa oscillare tra le onde grosse del mare in autunno. Le persone erano stipate in ogni centimetro di superficie disponibile. Anche il tetto della piccola cabina era sovraffollato, rendendo pesante la parte superiore della barca e aumentando il rischio di ribaltamento, che divenne la nostra prima preoccupazione insieme alle condizioni di salute delle persone nella stiva.
I nostri due gommoni di salvataggio sono stati calati immediatamente e le squadre di soccorso si sono avvicinate alla barca stracolma. Il soccorso è stato veloce, con i bambini portati rapidamente a bordo dei gommoni e trasferiti uno alla volta dall'equipaggio di soccorso.
Abbiamo individuato una bambina siriana che viaggiava con una bombola di ossigeno. Il nostro medico l’ha visitata immediatamente e si è reso conto che presentava una grave difficoltà respiratoria e che aveva urgente bisogno di cure specializzate. Fortunatamente siamo riusciti a organizzare un’evacuazione medica immediata con una nave della Marina nelle vicinanze. La bambina è stata portata in Italia con la madre in elicottero. Se fossimo arrivati due ore più tardi, non ce l’avrebbe fatta.
Mentre trasferivamo le persone sulla nostra nave, nemmeno a metà dell’operazione di salvataggio, il sole iniziava a calare all'orizzonte. Abbiamo capito che gran parte del soccorso sarebbe avvenuto durante la notte. In mare, la notte è tutto completamente e assolutamente buio. Mentre il sole scompariva e l'oscurità prendeva il suo posto ci siamo sentiti come galleggiare su un vuoto inquietante, con solo i riflettori a illuminare la barca. Abbiamo raccolto tutte le nostre energie e ci siamo concentrati sul compito da portare a termine.
Dopo più di tre ore nel buio più totale, erano tutti in salvo a bordo della nostra nave e venivano curati e accuditi dal nostro team. C’erano oltre 300 persone in totale, che hanno ceduto presto alla stanchezza e si sono addormentate sul ponte della nave, avvolte nelle coperte che abbiamo consegnato loro nel momento in cui sono state portate a bordo. L'intero equipaggio percepiva un immenso senso di sollievo.
La notte è passata senza problemi, ma il giorno seguente ci aspettava un’altra sorpresa. Ad una ragazza eritrea di 27 anni e incinta di 8 mesi è stata diagnosticata una grave complicazione legata alla gravidanza. La sua vita e quella del suo bimbo erano a rischio. Il nostro medico ha richiesto un’altra immediata evacuazione medica per trasportare la ragazza a terra, dove avrebbe potuto ricevere tutte le cure salva vita di cui aveva bisogno. Intanto era di nuovo sera e questo significava che anche questa evacuazione sarebbe avvenuta di notte.
L'elicottero è arrivato e i medici hanno guidato il verricello verso il basso per farlo atterrare sul ponte, legando la barella della paziente e issandola verso l’elicottero (qui il video dell'evacuazione).
Effettuare un’operazione di questo tipo di notte, su una nave in movimento e in uno spazio così ristretto implica una certa dose di rischio, ma l’evacuazione era l'unico modo per garantire la sopravvivenza della donna e del suo bambino. La mattina dopo, poco prima di arrivare in Italia, è arrivata la notizia della nascita del bambino, sano, poche ore dopo l'arrivo della donna sulla terra ferma. Eravamo talmente felici che tutti, anche le persone tratte in salvo, hanno iniziato a festeggiare e celebrare e la notizia della nascita si è diffusa rapidamente nella nave. È stato un momento molto commovente.
Anche se ho partecipato a molti salvataggi - l'anno scorso ho passato sei mesi su una nave di ricerca e salvataggio in queste stesse acque, partecipando al soccorso di oltre 7000 persone - non credo che sia possibile abituarsi alla vista di queste fragili e pericolose imbarcazioni così assurdamente stipate di centinaia di persone. O all'eventualità di incidenti e disastri. Ogni persona che galleggia sopra quel mare, ormai divenuto un’anonima fossa comune, porta le proprie storie, speranze e paure. Storie che non conosceremo mai. Pensare a tutto questo ti può distruggere.
Ciò che rende le operazioni di ricerca e soccorso diverse rispetto alle altre emergenze non è il contesto o gli aspetti tecnici del lavorare su una nave. Sono le persone che assisti. Le incontri in un punto di svolta della loro vita, sospese tra la vita e la morte, disperate nella fuga da orrori inimmaginabili ancora vivi nelle loro menti.
Ma hanno la speranza, tantissima speranza. Sperano di sopravvivere, per portarla a riva. Sperano di raggiungere la sicurezza di un continente in pace in cui siano rispettati i diritti umani, dove saranno in grado di offrire ai propri figli le possibilità e il futuro a cui loro non hanno avuto accesso. È questo intenso mix di vita, morte e speranza che rende questa esperienza forse la più umanamente travolgente che abbia mai sperimentato. Un’esperienza che ha cambiato il mio modo di vedere il mondo".