Una scelta impossibile: perché non possiamo stare fermi di fronte ai rimpatri in Libia
Pubblichiamo la testimonianza di Gemma Parkin, Media Manager di Save the Children sulla Vos Hestia. Le operazioni erano state temporaneamente sospese lo scorso 13 agosto in attesa di verificare l’esistenza delle necessarie condizioni di sicurezza ed efficacia a seguito dell’annuncio da parte della Guardia Costiera Libica sulla definizione di una propria zona SAR di competenza. Save the Children continuerà a verificare nei prossimi giorni l’esistenza delle condizioni adeguate per poter operare in sicurezza e piena efficacia nell’area interessata dalle operazioni di ricerca e soccorso.
Di seguito, nelle parole di Gemma, un'accurata riflessione su questo tema.
È strano iniziare la giornata a bordo della nave di Save the Children, facendosi una domanda del genere: “Sarebbe meglio interrompere completamente le nostre operazioni di ricerca e salvataggio, rischiando che le persone anneghino? O lasciare che i migranti e i rifugiati ritornino in Libia?" Ma è una domanda che siamo costretti a farci e la risposta è chiara. Questa è una questione che dobbiamo affrontare.
Il mio collega siriano che mi ha parlato dell’esperienza, dice che preferirebbe morire piuttosto che tornare in mezzo al brutale conflitto da cui è scappato, ed è convinto che tutti gli altri rifugiati sarebbero d’accordo con lui. La fuga in Europa è un viaggio inevitabile per la maggior parte, è una scelta fra la vita e la morte e già in questo è presente il problema. Come organizzazione umanitaria, abbiamo deciso di non far tornare nessuna delle persone salvate in Libia. La Guardia Costiera libica ha annunciato però che pattuglieranno le loro coste riporteranno in Libia chiunque trovino in quello spazio. Questa decisione riguarderà una grossa fetta di Mediterraneo, che molti sostengono essere acque internazionali e dove già 2.200 persone sono annegate quest'anno.
È la stessa zone in cui Save the Children ha salvato 8.000 persone da quando, lo scorso settembre, è iniziata la nostra missione in mare. Ora, in Save the Children, così come in altre organizzazioni che operano nel Mediterraneo, sta aumentando la preoccupazione per il fatto che potremmo essere costretti a consegnare le persone che salviamo alla Guardia Costiera libica, facendogli rivivere gli orrori da cui sono appena scappati. Questo non è nei nostri piani, ed è per questo motivo che, come altre organizzazioni, abbiamo considerato la possibilità di sospendere le operazioni. La Libia non è considerata dalle Nazioni Unite un porto sicuro.
Nei suoi centri di detenzione non vengono rispettati i più elementari diritti umani. Ed è per questo che l’Italia fino ad ora ha portato, più degli altri, il peso della crisi migratoria, con il punto più meridionale d’Europa – Lampedusa- primo porto sicuro del Mediterraneo. Questo è fondamentale da tener presente perché, nonostante la confusione che possono fare politici, il mare è di fatto governato da leggi internazionali molto chiare.
Quando salviamo persone terrorizzate da imbarcazioni fatiscenti, agiamo infatti in linea con la Convenzione delle Nazioni Unite del 1982 sul diritto del mare e la Convenzione internazionale del 1974 per la sicurezza della vita in mare che dice di "procedere il più velocemente possibile per salvare le persone in difficoltà.” Quando si suggerisce che offriamo un servizio di trasporto per l'Europa, in realtà non si ha chiaro che stiamo rispettando la Convenzione sui Rifugiati attraverso cui, dopo la Seconda Guerra Mondiale, tutti i Paesi firmatari hanno deciso di non "rimandare [i rifugiati] ... nei territori in cui possano rischiare la vita o perdere la libertà. "
I turni sulla Vos Hestia non sono turni da crociera, il personale lavora per 20 ore, imballando e distribuendo centinaia di kit di emergenza contenenti quello che potrebbe essere per molti, il primo pasto dopo giorni in mare. Siamo una squadra di medici, infermieri, avvocati e specialisti nella la protezione dei minori. Ci dedichiamo a salvare vite umane, non a viaggi turistici. La Convenzione sui Rifugiati del 1951 è stata sottoscritta in risposta globale all'Olocausto e alle successive persecuzioni di milioni di persone che disperate hanno dovuto lasciare le loro case. Ma la gente ha la memoria corta, quindi parliamo di un caso più recente, completamente ignorato nell'attuale dibattito tra l'Unione Europea e la Libia.
Nel 2009 Berlusconi, allora Primo Ministro italiano e Gheddafi, allora leader libico, hanno fatto un accordo verbale che prevedeva il ritorno delle imbarcazioni cariche di migranti in Libia dove, in campi improvvisati, molte persone sono rimaste in attesa senza che la loro richiesta d’asilo sia mai stata presa in considerazione. È passato un decennio e il cerchio si è chiuso. Quasi 15.000 mila persone sono morte nel Mediterraneo negli ultimi 4 anni ed è un numero destinato ad aumentare. Sappiamo per esperienza che blindare i confini e abbandonare i principi umanitari non risolve il problema. L’istinto di sopravvivenza dell’umanità spinge le famiglie a intraprendere percorsi ancora più pericolosi per sfuggire a conflitti, persecuzioni e povertà estrema.
Le persone che salviamo, una volta sulla terra ferma, saranno classificate come rifugiati o migranti. Alcune chiederanno protezione internazionale, altri saranno rimandati a casa, e se sono bambini non accompagnati, entreranno nel sistema di protezione. A bordo della Vos Hestia vediamo la loro incredibile innocenza: dai bambini nigeriani che non sapevano che il mare fosse salato, ai bambini guineani che vogliono diventare calciatori professionisti. La maggior parte dei bambini che salviamo portano con loro solo un sacchetto di plastica con le poche cose che hanno e sono disposti a rischiare tutto per un futuro diverso.
Save the Children non è un’Organizzazione pro- migrazione, non vogliamo incoraggiare false speranze, ma il successo della strategia dell'Ue, che privilegia il controllo delle frontiere per salvare vite umane, è discutibile. La nostra nave offre una possibilità per rendere meno spaventosa e letale l’ultima tappa di un viaggio mortale. Il dilemma della giornata è dunque quello di decidere se compiere un salvataggio e dare priorità a salvare vite, anche all'interno della zona di ricerca e salvataggio di giurisdizione della Libia, in cui siamo decisamente sgraditi.
Abbiamo valutato bene tutte le possibilità per mantenere il nostro staff di bordo al sicuro assicurandoci, allo stesso tempo, di salvare più vite possibili. La priorità prevalente di qualsiasi Organizzazione Umanitaria non è fare alcun male. Come possiamo dunque salvare le persone per poi condannarle rimandandole all’inferno? Questa è la posta in gioco, che pesa sul personale a bordo della Vos Hestia, ma che purtroppo non possiamo contemplare.