Donne e lavoro: le ultime ad entrare, le prime ad uscire
Anche quest’anno, in occasione della Festa della mamma, abbiamo pubblicato il nostro rapporto sulla situazione delle donne e delle mamme in Italia. La pubblicazione dal titolo “Le Equilibriste: la maternità in Italia nel 2022”, rispecchia perfettamente la condizione in cui si trovano molte donne nel nostro paese, sempre a fare i conti con le sfide del mercato del lavoro e le attività di cura e sostegno della famiglia.
Un tasso di natalità che raggiunge i minimi storici, con i nuovi nati al di sotto dei 400 mila. Solo 1 contratto a tempo indeterminato su 10 a favore delle donne, tra quelli attivati nel primo semestre 2021. Ma i dati negativi venuti fuori dalle ricerche, non finiscono qui: tra questi, la più preoccupante, è l’alta percentuale di dimissioni da parte delle donne e madri, che lancia un chiaro segnale di necessaria ridefinizione delle politiche sociali in favore delle madri.
Ma cosa ci dicono i dati sulle dimissioni delle donne?
Per spiegarci meglio, riprendiamo la relazione annuale sulle convalide delle dimissioni delle lavoratrici madri e dei lavoratori padri, pubblicata nel 2020 dall’Ispettorato Nazionale del Lavoro. In generale, anche se le cessazioni dal rapporto di lavoro riguardano in prevalenza gli uomini, che nel biennio 2019-20 rappresentano il 54-55%, per le dimissioni e risoluzioni consensuali di lavoratrici madri e lavoratori padri la proporzione si inverte, ottenendo le dimissioni delle lavoratrici madri nel 72,9% dei casi nel 2019.
Per quanto riguarda i dati sulle dimissioni volontarie di lavoratrici madri e lavoratori padri di bambini/e di 0-3 anni, le convalide nel 2020 hanno riguardato complessivamente 42.377 persone. Di queste, il 77,4% si riferiscono alle madri e solamente il 22,6% ai padri. La maggior parte dei provvedimenti, ovvero 40.021 (il 94%) sono di natura volontaria. Per la parte restante, 1.595 erano le risoluzioni per giusta causa e 761 quelle consensuali.
Dunque, le lavoratrici madri rappresentano il 77,2% del complesso delle dimissioni volontarie: 30.911 a fronte delle 9.110 dei padri. Inoltre, dai dati emerge che se si considera la fascia d’età 25-49, ad essere occupate sono in maggior misura le donne senza figli, con il 73,9%, rispetto alle madri che hanno almeno un figlio di età inferiore ai 6 anni, ovvero il 53,9%.
È interessante portare all’attenzione le motivazioni fornite dalle donne e dagli uomini in merito alle dimissioni: quella più frequentemente segnalata continua ad essere la difficoltà di conciliazione della vita professionale con le esigenze di cura dei figli, sia per ragioni legate alla disponibilità dei servizi di cura (quasi il 38% del totale delle motivazioni indicate), che per ragioni di carattere organizzativo correlate al contesto professionale dei genitori.
A pesare, è soprattutto l’assenza di parenti di supporto, seguita dall’elevato costo dei servizi di assistenza al neonato, come asili nido o babysitter. Inoltre, molti intervistati fanno notare condizioni di lavoro particolarmente gravose e difficilmente conciliabili con le esigenze di cura del bambino, includendo la distanza dal luogo di lavoro, l’orario o cambi di sede interni.
Le ultime ad entrare, le prime ad uscire
È questa la sintesi della condizione professionale delle donne nel mercato del lavoro, che tuttora persiste in Italia. Anche secondo il Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro, la figura della donna risulta tuttora sensibilmente penalizzata dalla difficile conciliazione tra i tempi di vita e quelli di lavoro e dall’elevato divario di genere in termini di lavoro domestico-familiare non retribuito. Riuscire a conciliare lavoro e tempo di vita è un obiettivo fondamentale per il benessere sia degli uomini che delle donne. Inoltre, gli effetti negativi della pandemia hanno reso ancor più estremo questo squilibrio.
Alla luce dell’analisi sin qui delineata sulla condizione delle mamme in Italia, emerge un quadro d’insieme che pone l’accento sulla correlazione tra l’attuale condizione di svantaggio delle donne e in particolare delle madri, oltre che dei genitori tutti, e lo sviluppo del Paese. Molti studi sostengono, infatti, quanto siano importanti misure efficaci e mirate che permettano di adeguare le esigenze della genitorialità con l’ingresso o la permanenza nel mondo del lavoro. Investire sulle politiche di welfare per favorire le donne e, a maggior ragione, le madri, porta come risultato l’aumento del welfare secondario e del terzo settore.
Un focus sul gap di genere
Se il tasso di occupazione per gli uomini 15-64enni, per il 2021, si attesta al 67,1%, per le donne scende al 49,4%: questo significa che meno di una donna su due, in questa fascia d’età, risulta occupata (a fronte di due uomini su tre), e che il divario da colmare è di 17,7 punti nella media nazionale. Inoltre, il gap va a differenziarsi tra le regioni italiane: se è infatti di 14,2 punti al Nord, e cresce al Centro con 14,9 punti, si amplifica consistentemente al Sud, dove raggiunge i 23,8 punti percentuali, dato che a risultare occupata è appena una donna su tre.
Per quanto riguarda il tasso di inattività tra la popolazione 15-64 anni, questo si attesta al 44,6% per le donne e al 26,4% per gli uomini. Se si guarda alle motivazioni di chi si trova in questa condizione, i motivi familiari vengono al primo posto per una donna su tre, il 33,6% e solo per il 2,9% degli uomini. Anche sotto il profilo dell’inattività la quota di donne risulta sempre superiore a quella degli uomini in tutte le classi di età.
Secondo quanto rilevato dall’Ispettorato Nazionale del Lavoro le motivazioni alla base dell’inattività maschile e femminile, tra i genitori di figli 0-3 anni, “sono strutturalmente diverse”: mentre l’inattività maschile continua ad essere motivata, principalmente, da esigenze personali di studio o formazione, ragioni personali di disinteresse al lavoro, seguite da scoraggiamento o attesa di esiti di passate azioni di ricerca, per le donne la principale motivazione è quella degli impegni familiari e solo dopo si presentano le medesime motivazioni degli uomini.
Carenza di servizi, pregiudizi sul luogo di lavoro, difficoltà strutturali di un contesto sociale che non supporta sufficientemente le lavoratrici madri e fa sì che le donne si trovino spesso di fronte a un penoso bivio: una situazione di squilibrio, anche ma non solo, professionale. Proprio per questo motivo, è sempre più necessario garantire equità nei percorsi di carriera, colmando il gap salariale e garantendo eguale accesso ai ruoli di responsabilità. Seguendo questa linea, sarà possibile migliorare la conciliazione tra vita privata e lavoro e ottenere un empowerment femminile e genitoriale.
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