#Volontarincampo: il diario di una volontaria fra i minori rifugiati, l'incontro con Mustafa

Pubblichiamo una nuova testimonianza di Carmen una delle volontarie impegnate a Lesbo, in supporto dei minori rifugiati che continuano a sbarcare sull'isola greca. Le prime due settimane di volontariato a Lesbo, nei campi predisposti per l’accoglienza dei migranti in transito, sono già volate via.

Settimane intense in cui ogni giorno vi sono state nuove situazioni da affrontare sia all'interno del gruppo sia nei campi. Abbiamo conosciuto centinaia di bambini e siamo entrati in contatto con dinamiche complesse e storie talmente intense che stanno creando in me un vero e proprio subbuglio emotivo e soprattutto stanno facendo crescere la voglia di essere realmente utile agli altri.

Una delle situazioni che mi sono trovata a vivere è stata il confrontarmi con una “famiglia vulnerabile” e con la procedura di “Child Safeguarding”. Quando durante il corso di formazione a Roma ci hanno parlato di “Child Safeguarding Policy”, sinceramente, non mi era molto chiaro come effettivamente avremmo potuto metterla in pratica e soprattutto mi chiedevo come avrei fatto a capire, a riconoscere un caso di vulnerabilità…

Il secondo giorno di lavoro nei campi, ad un certo punto della mattinata, guardandomi intorno, ho notato un bellissimo bambino afgano, Mustafa (nome di fantasia utilizzato per proteggere l’identità del bambino), di circa sette anni, dai capelli color rame, la carnagione chiara e le lentiggini.

Era seduto al di fuori dello spazio e guardava i suoi coetanei giocare con un'espressione talmente seria da sembrare un adulto. Mi sono avvicinata per invitarlo a giocare, ma scuoteva la testa per dirmi no. Visto che non riuscivo a smuoverlo dal suo angoletto, sono andata a prendere le bolle di sapone, sicura che gli sarebbero piaciute.

Mi sono seduta accanto a lui ed ho iniziato a giocare. Subito dopo, si è avvicinata al bambino e a me Giovanna, una delle mie compagne di viaggio, che, grazie alla sua esperienza e sensibilità, ha notato che il piccolo aveva qualcosa di strano.

Così come ci avevano insegnato durante il corso di formazione a Roma, abbiamo segnalato immediatamente il caso, che a noi appariva particolare, al nostro Camp Coordinator, che ha iniziato ad informarsi. Ha, infatti, subito parlato con la mamma, scoprendo che il papà era sordo-muto, il nostro piccolo amico, nonostante i suoi sette anni, non sapeva né leggere né scrivere e, in famiglia, erano in sei (i due genitori e quattro bambini tra i due e i quattordici anni, di cui due con un leggero ritardo cognitivo).

Ci siamo trovati, quindi, dinanzi ad un caso di vulnerabilità infantile e familiare, che Save the Children, conformemente alla sua missione, è riuscita a prendere in carico e ad attivare le procedure di protezione.

L’aver contribuito, seppur in minima parte, ad aiutare il piccolo e la sua famiglia è stato un vero e proprio balsamo per l’anima e ho avvertito, con sempre maggiore forza, che il senso profondo del mio essere qui si trova nel sorriso e nel bacio mandato con la manina di Mustafa e di tutti i bambini fino ad oggi incontrati.

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#volontarincampo

Leggi la prima testimonianza di Carmen

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