Solidarietà ai lavoratori della RWM per una soluzione positiva dal Governo
Abbiamo da poco appreso che la RWM, titolare della fabbrica di armi di Dosmusnovas in Sardegna, ha annunciato una riduzione del proprio personale e siamo solidali con i lavoratori e le famiglie dei dipendenti che sono coinvolti in questi tagli.
Stando a quanto riportato da un comunicato dell’azienda, la RWM avrebbe preso questa decisione in seguito alla sospensione delle licenze di esportazione verso l'Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti, effettiva dallo scorso 29 luglio. Le bombe prodotte dalla RWM erano infatti tra quelle utilizzate dalla coalizione guidata dall’Arabia Saudita e dagli Emirati Arabi nel conflitto in Yemen, per colpire anche obiettivi civili: report delle Nazioni Unite hanno documentato il ferimento e l’uccisione di bambini, proprio ad opera delle bombe che riportano il codice di produzione della RWM.
Dall’inizio dell’escalation del conflitto, si sono registrati in Yemen oltre 19 mila raid aerei che hanno costretto più di 1,5 milioni di bambini a fuggire dalle loro case. In base ai casi verificati dalle Nazioni Unite, più di 7.500 bambini sono stati uccisi o feriti, quasi la metà in seguito ai bombardamenti aerei condotti per la grande maggioranza dalla Coalizione militare a guida saudita. Per reagire concretamente anche come cittadini italiani a tutto questo, Save the Children ha lanciato lo scorso febbraio la sua campagna “Stop alla guerra sui bambini”, promuovendo una petizione al Governo Italiano per fermare l’export di armi verso i paesi responsabili di queste gravi violazioni che ha raccolto in pochi mesi più di 140.000 firme.
Una risposta positiva e concreta del Governo, che ha bloccato la concessione di nuove licenze di export verso l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti e sospeso quelle in essere, non può essere buona solo a metà, limitandosi a questo, ma deve essere positiva anche per i lavoratori coinvolti e per le loro famiglie, fornendo le necessarie garanzie per il loro futuro e per quello dell’economia del territorio. Save the Children ha infatti chiesto con forza sin dall’inizio al Governo e alle Istituzioni, insieme ad un’ampia coalizione di organizzazioni (tra cui Amnesty International, Rete Disarmo, Oxfam Italia, Movimento dei Focolari, Fondazione Finanza Etica, Msf Italia, Rete per la Pace) di attivare per davvero e pienamente, per questo caso, il fondo per la riconversione dell’industria bellica previsto dalla legge 185/90 sul controllo dell’esportazione di materiali di armamento e prevedere piani di valorizzazione e riqualificazione economica e ambientale del territorio del Sulcis-Inglesiente.
Inoltre, rispetto alla sospensione delle forniture in essere, bisogna avere le garanzie che non sia un provvedimento temporaneo, ma che si tratti di un vero e proprio stop alle esportazioni. La risoluzione approvata dal Parlamento lo scorso 26 giugno, poi recepita, secondo quanto dichiarato dall’allora vicepremier Luigi Di Maio (oggi Ministro degli Affari Esteri), dal Consiglio dei Ministri del 12 luglio, non è infatti stata mai confermata da atti ufficiali del Governo e quindi non è verificabile nella sostanza. Abbiamo sollecitato ripetutamente, insieme alle altre organizzazioni impegnate su questo fronte, il Governo perché confermi se si tratta di una richiesta di sospensione limitata a 18 mesi delle forniture, come dichiarato dalla RWM, o di un vero e proprio stop fino alla fine della guerra, necessario per dare un segnale chiaro e forte ai paesi responsabili delle ripetute violazioni dei diritti dei minori in Yemen.
Ci auguriamo che al più presto il nuovo Governo ufficializzi questa decisione e chiarisca definitivamente ogni dubbio sulle reali intenzioni a questo proposito. Vogliamo che questa sia una svolta davvero positiva per tutti: per questo motivo riteniamo che oltre allo stop alle esportazioni di ogni tipo di armamento verso paesi che commettono violazioni dei diritti umani in conflitto, è indispensabile che il Governo dia pienamente seguito a quanto previsto dalla legge 185/90 e si impegni parallelamente in un piano di riconversione industriale e di valorizzazione economico-ambientale, proprio a partire dalla fabbrica di Domusnovas, che sorge in un territorio deprivato e in cui i lavoratori e le loro famiglie devono veder garantito il futuro dei propri figli e il diritto a un lavoro dignitoso.