Istruzione e PNRR, un'occasione per superare le disuguaglianze

A leggere con attenzione i dati dell’ultimo rapporto OCSE “Education at a glance”, con la lente che riguarda il nostro Paese, ci si trova di fronte ad uno scenario che desta alcune preoccupazioni. Il rapporto di quest’anno è incentrato sull'equità dei sistemi educativi e sulla loro capacità di emancipazione e riscatto delle giovani generazioni

Condizione Famigliare e successo scolastico

In Italia la famiglia di origine ha ancora un peso molto rilevante sulle probabilità di successo a scuola e negli studi in generale. Il 69% dei 25-64enni che hanno almeno un genitore con la laurea raggiungono lo stesso livello di istruzione, mentre ottiene la laurea solo il 52% di chi ha almeno un genitore con istruzione secondaria o post-secondaria non terziaria e il 10% di quanti hanno un genitore con un livello di istruzione inferiore alla secondaria superiore (le medie OCSE sono, rispettivamente il 72%, il 39% e il 19%).

Un tema – quello dello svantaggio che proviene dalla condizione delle famiglie - che si impone sin dalla primissima infanzia. I bambini di 0-2 anni che appartengono a famiglie più svantaggiate (quelle che occupano la parte più bassa della distribuzione del reddito) partecipano meno ai servizi educativi per la prima infanzia (il 20% rispetto al 49% di quelli che appartengono alle famiglie più ricche), e la differenza (29 punti percentuali) è più elevata rispetto alla media OCSE (19 punti percentuali).

I finanziamenti all'istruzione

È in questo scenario che si inserisce la questione delle risorse e degli investimenti. In generale si conferma il sottofinanziamento cronico del nostro sistema d'istruzione: l'Italia devolve alla formazione dei propri ragazzi - ovvero di quella che ormai quasi ovunque è considerata una risorsa essenziale - il 4 per cento del Pil contro una media Ocse che sfiora il 5 per cento . Inoltre va notato che mentre in generale negli altri Paesi Ocse, il dato sull’investimento cresce man mano che si sale di livello scolastico, in Italia la spesa è massima alle elementari (pari a 13.799 US$ per studente, sopra la media Ocse e europea), più bassa alle medie e superiori (11.739 US$ per studente) e risale all'università(13.711 US$ per studente). Per quanto riguarda i servizi educativi per la prima infanzia, invece, nonostante negli ultimi anni sia stata riconosciuta la loro importanza, soprattutto per i bambini che provengono da famiglie svantaggiate, i dati relativi agli investimenti nel nostro Paese non sembrano rispecchiare questo riconoscimento.  In Italia, gli investimenti pubblici nei servizi educativi per l’infanzia in relazione al PIL sono infatti diminuiti dell’11% tra il 2015 e il 2021, mentre tra i Paesi OCSE sono aumentati del 9%. 

La situazione dei NEET

Qualche luce arriva dal dato relativo ai NEET, che migliora anche se resta ancora sopra il livello degli altri Paesi: la quota di NEET è in calo in molti paesi OCSE, e in media è passata dal 17% al 15% tra il 2016 e il 2023. In Italia, il calo è stato più marcato (da 32% al 21%) nello stesso periodo, ma la percentuale di NEET è ancora superiore di 6 punti percentuali rispetto alla media dei Paesi OCSE. La percentuale di NEET è maggiore tra quanti non raggiungono il livello di educazione secondaria superiore (48%) rispetto a quanti hanno un livello di istruzione secondaria o post-secondaria non terziaria (23%) o rispetto a chi ha una laurea (15%). Tuttavia, proprio guardando ai dati relativi ai NEET, si conferma uno dei temi più preoccupanti che riguardano il nostro Paese, ovvero il gender gap.

La percentuale di NEET è più elevata tra le donne di età compresa tra i 25 e i 29 anni (31% contro un valore del 20% tra gli uomini). Un dato che è solo uno dei tanti che conferma le difficoltà che bambine e ragazze affrontano nel corso degli studi e al momento in cui provano ad accedere al mercato del lavoro. Intanto va segnalato che solo il 15% delle donne che si iscrivono all’università sceglie di studiare scienze, tecnologia, ingegneria o matematica (Stem), rispetto al 41% degli uomini. Al contempo solo il 4% dei maschi sceglie di studiare nel campo dell’istruzione. Inoltre ragazze e donne ottengono migliori risultati scolastici degli uomini ma hanno maggiore difficoltà nel mondo del lavoro, oltre a una retribuzione sensibilmente più bassa. In tutti i paesi membri dell’Ocse, le donne di età compresa tra i 25 e i 34 anni hanno la stessa o maggiore probabilità rispetto ai loro coetanei maschi di ottenere una laurea (54% a 41%) Tuttavia, quando si entra nel mondo del lavoro, il dato si capovolge: nella stessa fascia di età le donne hanno meno probabilità di trovare un impiego rispetto ai maschi. In Italia è occupato solo il 36% delle giovani donne che non ha un diploma di maturità, mentre per i maschi si arriva al 72%. Per coloro che hanno ottenuto una laurea la situazione è diversa: in Italia il 73% delle laureate e il 75% dei laureati hanno un lavoro, ma il conseguimento della laurea non aiuta a ridurre il divario salariale tra uomini e donne. Nel nostro Paese le giovani laureate guadagnano in media il 58% del salario dei loro coetanei maschi. E il nostro è il gender pay gap più ampio rispetto ai Paesi Ocse, il cui delta medio è dell’83%. 

Il ruolo del PNRR

Il PNRR, con un investimento complessivo di oltre 17 miliardi di euro destinati al Ministero dell’Istruzione e del Merito, rappresenta un’occasione unica per garantire uguali opportunità a tutti i bambini, le bambine e gli adolescenti, soprattutto in territori dove la povertà minorile è più accentuata e le famiglie affrontano maggiori difficoltà economiche. Il problema che abbiamo davanti come Paese non è solo riuscire a garantire la tabella di marcia della spesa, ma fare in modo che le risorse del PNRR raggiungano effettivamente i territori dove i bambini e le bambine scontano le maggiori difficoltà nel percorso educativo. Il PNRR rappresenta un’occasione unica per superare le disuguaglianze di offerta educativa tra nord e sud, tra centri urbani e aree interne. Ma dall’analisi della distribuzione delle risorse e degli interventi ad oggi avviati, l’obiettivo di riequilibrio sembra raggiunto solo parzialmente. 

Eppure, le soluzioni non mancherebbero, come indicato anche nel nostro recente Rapporto  “Scuole disuguali. Gli investimenti del PNRR su mense, tempo pieno e palestre.” In particolare, se si decidesse di non diminuire la spesa per l’istruzione in base al numero degli studenti (come previsto attualmente nelle previsioni di spesa della Ragioneria dello Stato, che prevedono un investimento in istruzione di quasi 52 miliardi nel 2024 e di 49 nel 2026) ma di mantenerla costante al fine di migliorare la qualità del percorso educativo, si potrebbero potenziare, ad esempio, i servizi di tempo pieno e mense. 

Alla luce delle analisi internazionali e di quelle condotte da Save the Children, abbiamo richiesto al Governo di includere nel Piano Strutturale di Bilancio (PSB) di medio periodo, richiesto dal nuovo Patto di Stabilità e Crescita e da presentare al Consiglio dell’Unione Europea, un piano organico di riforme strutturali e di investimenti strategici di medio periodo per garantire l’adozione dei LEP sulla mensa e il tempo pieno alla scuola primaria. Per sostenere tali riforme, si propone di richiedere l’estensione del periodo di aggiustamento del rapporto tra debito e PIL  a 7 anni, anche in considerazione del fatto che il nuovo Regolamento sul braccio preventivo del Patto di Stabilità e Crescita europeo richiama espressamente il Pilastro europeo dei diritti sociali e che tra gli obiettivi monitorati vi sono la riduzione della dispersione scolastica e del numero dei NEET, obiettivi verso i quali la fruizione del tempo pieno ha un impatto dimostrato.
 

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