Rafforzare il senso di appartenenza degli studenti alla scuola è possibile?
Un docente racconta l’esperienza della scuola Sogliano di Napoli che ha istituito le “Giornate dello studente”, aderendo alla proposta di Fuoriclasse in Movimento.
Quando abbiamo iniziato la sperimentazione di Fuoriclasse eravamo un po’ dubbiosi e ci chiedevamo: i ragazzi sapranno capire a fondo il concetto di rappresentanza, senza scambiarlo con una sorta di diritto a “pariare”? (per i non napoletani, divertirsi perdendo tempo). Appena ha cominciato a prendere forma il progetto però, siamo rimasti colpiti dal livello dell’impegno di molti dei ragazzi nel preparare i consigli consultivi e nella cura dedicata a trasmettere la comunicazione dei propri messaggi e dalla maturità con cui hanno affrontato la scelta del voto.
Quando poi sono iniziate le riunioni del consiglio, i nostri dubbi residui si sono sciolti definitivamente: i ragazzi si ponevano questioni interessanti e soprattutto utili per tutti. A quel punto, complice l’entusiasmo dei ragazzi ci siamo chiesti: cosa potrebbe funzionare da stimolo ulteriore per coinvolgere proprio tutti? Abbiamo deciso, qualcosa che rovesciasse la prospettiva quotidiana, facendo sentire i ragazzi ancora più coinvolti.
Come coinvolgere i ragazzi nella scuola?
È nata così l’idea di coinvolgere i ragazzi nella programmazione di alcune giornate per una didattica alternativa, giorni dello studente che non fossero di autogestione piena, ma che dessero loro la possibilità di esprimere bisogni e desideri. Abbiamo pensato che tre giorni fossero la misura ideale per dare avvio all’esperienza. Ogni classe ha cominciato a pensare a ogni materia e a come la potesse trasformare in qualcosa di diverso, o a come far entrare la realtà esterna nell’ambiente protetto della scuola.
Il laboratorio delle emozioni
Elemento comune a tutte le classi coinvolte dalla sperimentazione (erano sei classi, per un totale di circa 130 ragazzi) è stato il laboratorio delle emozioni, ovvero un laboratorio di espressione dei propri sentimenti, condotto da una psicologa, che desse una risposta al bisogno dei ragazzi, spesso immersi in un mondo virtuale ed immateriale, di un dialogo vero, antico e fisico guardandosi viso nel viso. A decine, i ragazzi aspettavano con pazienza il proprio momento per intervenire e, semplicemente, si parlavano e si conoscevano tra loro, con numeri sicuramente inferiori a quelli dei social, ma tanto più profondi.
Alcune classi si dedicavano alla espressione corporea o artistica, con la decorazione dell’aula con stencil e colori, o ancora con la celebrazione di un processo a Napoleone, con tanto di avvocati, giudice e giuria; non è mancato nemmeno chi si sia dedicato all’introspezione e vi assicuro che vedere ragazzini “vivaci” di dodici anni dedicarsi allo yoga è uno spettacolo davvero particolare. Tutto bene, quindi? Ovviamente no, questa non è una favola, ma il racconto della realtà e quindi non posso negare che in alcune classi non tutto sia filato liscio, però l’emozione provata nel vedere la sicurezza e la maturità con la quale cinque ragazzi e ragazze hanno esposto al collegio docenti riunito al completo il risultato delle loro osservazioni rimarrà a lungo tra i miei ricordi più cari e preziosi…
Dare voce agli studenti
Alla fine della sperimentazione, ci siamo resi conto che la cosa più importante che ha davvero acceso la voglia dei ragazzi, è stata la consapevolezza di avere una possibilità di intervento: per la prima volta, gli studenti potevano dire la loro ed essere ascoltati.
Quest’anno, dopo una partenza tanto esaltante, il rischio inevitabile era quello della delusione, ma nel bene e nel male siamo un gruppo di docenti che interpretano il proprio lavoro sull’onda della passione e quindi abbiamo iniziato subito a mille; i ragazzi hanno confermato la maturità già messa in mostra l’anno precedente e hanno confermato quanto questa esperienza li leghi a maggior ragione alla scuola.
Per poter rafforzare ulteriormente la costruzione della vera e propria comunità educante della scuola, abbiamo avviato anche alcune ore di formazione dedicate ai genitori; risultato: enorme coinvolgimento dei genitori, che sono intervenuti anche durante i tre giorni dello studente, ad esempio tenendo un minicorso di filosofia per ragazzi; l’esperienza ci ha quindi rafforzato nell’idea che per creare una comunità educante è necessario e sufficiente offrire a tutti la possibilità di avere voce: poter intervenire rafforza i processi decisionali e il coinvolgimento.