Tratta e sfruttamento: cos’è il fenomeno re-trafficking?
La crisi economica, l’eccessiva burocrazia che caratterizza i percorsi di integrazione e la marginalità in cui vivono, spesso ghetti o periferie degradate, favoriscono la ricaduta delle vittime nella medesima o in altre forme di sfruttamento, con un impatto devastante sul loro progetto di vita personale già intriso di delusione, fallimento e sfiducia in un’altra vita possibile.
Diversamente dal fenomeno della tratta di esseri umani su cui abbiamo dati di monitoraggio preziosi per stimarne ampiezza e caratteristiche, purtroppo a livello italiano non abbiamo una valutazione di follow-up quantitativa sull’efficacia dei percorsi di protezione. Tuttavia, tramite le interviste condotte con esperti anti-tratta di partner e operatrici ed operatori della nostra Organizzazione, ci è possibile tracciare alcuni scenari che riguardano i minori, le minorenni e i nuclei monogenitoriali usciti dall’accoglienza.
Cosa si intende per re-trafficking e quali sono le sue caratteristiche?
Come già accennato, una situazione di re-trafficking si presenta quando le vittime di tratta, uscite dal sistema anti-tratta, ricadono nelle reti di sfruttamento.
Si tratta di un turning point rischioso in quanto, come ricorda la Dott.ssa Paola Giordano, Ufficio Minori Stranieri, Comune di Torino, in merito alle vittime femminili: “di solito è il momento in cui salta fuori un fidanzato che in quel momento lì le corteggia e manipola, se loro sono ancora un po’ fragili come normale che sia, data l’età e tutti i loro trascorsi, rischiano di ricadere nella tratta. Ho proprio in mente casi di ragazze ricadute nel giro in questo modo”.
In altre circostanze, senza che si parli di re-trafficking, può capitare che alcune ragazze, come ricorda Francesca De Masi, BeFree: “dopo l’accoglienza incappino talvolta in relazioni violente, non paritarie, né di reciprocità, in cui l’uomo gestisce un forte potere su di loro. Per questo è necessario aiutarle a trovare dei luoghi di elaborazione dell’affettività”.
Se c’è stato un buon accompagnamento lavorativo e abitativo nel reinserimento, il radicamento sociale sul territorio è un efficace antidoto del rischio di re-trafficking, ma lo sgancio con le realtà di accoglienza verso la completa autonomia è uno snodo di vita molto delicato, in cui possono insediarsi nuovi rischi. Nel caso delle minorenni uscite da un percorso di sfruttamento sessuale, viene chiesto il prosieguo amministrativo al fine di dare continuità al progetto avviato durante l’accoglienza con la proposta di entrare nel SAI (Sistema Accoglienza Integrazione) per adulti.
In questi casi la persona può accettare, ma non è raro che la vita in un contesto comunitario, fatta di regole e procedure precise, sia considerata troppo pesante da sopportare, tanto che molte giovani decidono di andare a vivere in autonomia abbandonando il sistema di accoglienza. La sfida per operatori e operatrici è quella di riuscire a maturare durante il periodo di accoglienza una relazione significativa con le ospiti al fine di continuare a essere un punto di riferimento a cui rivolgersi, soprattutto nelle situazioni di forte rischio di re-trafficking o di violenza per le ragazze.
Minori maschi vittime di sfruttamento lavorativo
Nel caso dei ragazzi, invece, le criticità maggiori nel post-accoglienza si hanno in particolare quando giungono in Italia a ridosso della maggiore età: in queste situazioni il tempo a disposizione per avviare un percorso di protezione e inclusione sociale efficace è minimo e molte volte, raggiunti i 18 anni, escono dall’accoglienza per tornare a lavorare in situazioni poco tutelanti per loro stessi.
Il rischio di tornare a essere sfruttati sul luogo di lavoro è presente anche per quei minori che, seppur arrivati in Italia non a ridosso dei 18 anni, non hanno sviluppato una rete sociale sul territorio che li possa sostenere nella fase di uscita dai progetti di accoglienza. Avvicinandosi alla maggiore età, avvertono una forte pressione psicologica legata alla necessità di trovare un impiego e un’abitazione stabile, dovendo inoltre contribuire ai bilanci economici familiari. Il peso delle responsabilità grava talmente tanto su di loro che può indurli ad attuare strategie compensative come l’abuso di sostanze o di alcool oppure il ripiego nel gioco d’azzardo.
Altre cause del re-trafficking
Trasversalmente alle ragazze e ai ragazzi vittime di tratta o sfruttamento, un ulteriore elemento di criticità riguarda la condizione di marginalità ed esclusione sociale a cui sono esposti anche una volta usciti dai progetti di assistenza e accoglienza. Anche quando riescono a ottenere un’indipendenza economica e a trovare una casa in cui vivere, la condizione di bassa inclusione sociale rimane una difficile questione aperta.
Ciò potrebbe anche essere connesso al fatto che i sistemi di tutela in cui sono inseriti lavorano moltissimo in termini di empowerment individuale, ma in misura minore su un piano di partecipazione comunitaria. La possibilità di agire in chiave inclusiva con tutti gli attori sociali, beneficiari, cittadinanza e organizzazioni, potrebbe facilitare anche l’attivazione di progettualità o reti informali “bottom up” capaci di continuare a sostenere la ragazza o il ragazzo una volta usciti dal sistema di accoglienza.
Al fine di proteggere minori, ragazzi, ragazze e giovani vittime di tratta e sfruttamento, abbiamo attivato in questi anni percorsi specifici e differenziati per cercare di rispondere ai loro bisogni e necessità, garantendone protezione e tutela.
Per approfondire il nostro impegno in supporto alle vittime di tratta e sfruttamento, leggi la XII edizione del rapporto Piccoli Schiavi Invisibili.