Da Cucù a Oz con un tornado: l’importanza di fare teatro a scuola
“Fosse per me, renderei obbligatoria la pratica del teatro in qualsiasi grado di scuola. È bello fare entrare in risonanza pensieri e immagini dei bambini con le parole, meravigliose, che ci possono donare Omero, Shakespeare o Brecht… Mi piace comporre e costruire tutti insieme, in classe, il canovaccio e il copione che darà senso alla nostra rappresentazione, partendo dalle parole emerse nelle nostre tante conversazioni…”.
Così Franco Lorenzoni sottolinea dal suo punto di vista di docente, l’importanza di fare teatro nella scuola. Fare teatro a scuola favorisce la socializzazione e la concentrazione, consente ai ragazzi di esercitare fantasia e memoria e di sviluppare i 5 sensi, rendendo il corpo protagonista.
Riportiamo a seguire il racconto di Linda Dalisi, regista e drammaturga, che ha realizzato un laboratorio teatrale nell’ambito del progetto “Scuola Viva” della regione Campania, presso l’Istituto ComprensivoFava Gioia di Napoli dove siamo presenti anche con il programma Fuoriclasse. Il laboratorio, realizzato in parteniariato con StabileMobile Compagnia Antonio Latella, ha restituito a studenti di primarie e secondarie di I grado l’intera esperienza di una compagnia teatrale, attraverso un percorso di teatro, drammaturgia, scenografie e costumi.
“Avevo scelto ‘Cucù’ come titolo di questo progetto di teatro in una scuola elementare perché il teatro è nell’uomo fin da quando è bimbo, da quando i grandi si nascondono dietro una mano fingendo di sparire e riapparire. Quella magia è il segno che il teatro è un istinto primario, come la fame, prima ancora di cercare la parola.
Non era la prima volta che lavoravo con i piccoli, ma era la prima volta che sperimentavo con loro il ‘fare teatro’.
Una delle prime cose che mi hanno chiesto è stata ‘quando ci dai i ruoli?’. Caspita! Erano molto più preparati di quello che potessi immaginare. Quello che forse non avevano ancora sperimentato era l’idea di un lavoro, di uno spettacolo, che nascesse da loro, dalle loro domande e dalle loro risposte. Da una indagine costante.
Non c’è un metodo, non c’è un esercizio o gioco migliore di altri, ma c’è la scoperta che ogni gruppo ti fa fare ogni giorno. Me lo ha insegnato il mio maestro. Inventa con loro i giochi, volta per volta, mi disse. Eppure certi giochi piacciono più di altri. Le regole non piacciono mai, però. Bisogna prima capire che le regole sono fondamentali per il divertimento.
Un metodo è stato l’esercizio all’ascolto, e l’idea di un teatro dove tutto partisse dalla drammaturgia. Ho cercato di dimostrare loro che non c’è una risposta sbagliata, purché ci sia concentrazione e sguardo verso una direzione comune. Era più importante per me costruire un testo che fosse frutto di questo lavoro di ricerca continua di possibilità, rispetto alla resa finale di uno spettacolo. Farsi domande, sempre, su quello che si legge, e provare a dare delle risposte. ‘Compito del lettore è di sapere quali parole nasconda una parola, e quali uno spazio bianco, e viceversa’, dice Giorgio Manganelli, ‘nell’immobilità tipografica, lo spazio tra segno e segno è infinito. Quanto tempo impiegheremo a percorrerlo?’.
Un mondo di parole e possibilità
Il gruppo che ho incontrato è stato un vulcano. Anche i più irrequieti nascondevano ‘negli spazi tra segno e segno’, un mondo di parole e possibilità.
‘Il mago di Oz che appare a tutti con un aspetto diverso, come apparirebbe a te?’: e via un turbinio di indecisioni, di ricerca della risposta giusta, ‘e che ne saccio!’, ‘ma posso dire questo?’, ‘può essere una donna?’.
Può essere tutto.
‘Allora io metto Mosè’.
Una risposta che vale cento scenette fatte bene.
Vorrei che i ragazzi che hanno partecipato al laboratorio sapessero che quel testo è loro, ci sono tutti loro in quelle parole, in quegli spazi, in quegli ‘accapo’. Vorrei che sapessero che sono stati chiamati a fare una cosa non facile, mettersi in gioco, creare un personaggio come un coro, essere sempre in scena. Dieci espressività per una Dorothy, due fantasiosità per un Toto, due abilità per un Uomo di Latta, e così via.
Vorrei che ricordassero l’emozione dell’apertura del sipario, e che sapessero che la musica con la sequenza dei loro gesti era travolgente. Vorrei che Lorenzo (e cito lui come esempio per tutti) sapesse che quello che ci ha fatto vivere è stato teatro puro: uscire di scena per poi rientrare e andare fino in fondo. Impeccabile. Perché impeccabile è un attore che si esercita allo specchio. Impeccabile chi si mette al servizio del lavoro e impara anche battute all’ultimo minuto. Impeccabile è chi negli incontri si è dimenato nello spazio e poi allo spettacolo non ha sbagliato una battuta. Impeccabile è chi si è divertito. Chi si è fidato. Chi ha scritto con generosità. Chi ha sentito la forza dei compagni accanto. Chi ha sentito che era bellezza quella che si stava cercando e restituendo. Chi ha sentito che quello spazio era suo. Tutto suo.
Nell’immobilità tipografica della storia di Oz, con il gruppo della Fava Gioia lo spazio era infinito, e quell’infinito era pieno di delicatezze, timidezze, sogni, un tornado di immagini preziose e condivise, da proteggere, coltivare, nutrire, da percorrere fiduciosi e aperti lungo un sentiero di mattoni gialli”.
Ascolta qui una parte dello spettacolo: https://soundcloud.com/user-224801327/immaginate-oz