Voci dal Campo, minori migranti: “Mohamed è di nuovo sereno"

Alcuni mesi fa vi abbiamo presentato la nostra collega Valeria Gerace, che durante l'operazione di Mare Nostrum dello scorso anno aveva partecipato ai soccorsi dei migranti in mare, ascoltando e vivendo in prima persona le drammatiche vicende delle persone salvate.

Valeria in questi mesi, durante i quali molte cose sono cambiate, ha continuato a svolgere il suo lavoro e a raccontarci le storie dei minori migranti incontrati. Quella che vogliamo raccontarvi ora è una storia di qualche mese fa che, al di là dell’attualità e della provenienza geografica, merita di essere riportata e ricordata, per aiutarci a non dimenticare che dietro i numeri di questa crisi, ci sono persone in cerca di un futuro migliore, in cerca di serenità per i propri figli.

Ecco la testimonianza di Valeria

Come Save the Children siamo presenti alle frontiere del sud Italia con il progetto Praesidium per garantire assistenza e consulenza ai minori che arrivano via mare ed io ho svolto la mia attività in Sicilia, in Puglia, in Campania.

Il mio field è però Lampedusa ormai dall'aprile del 2011. Eccomi ancora, come ho fatto tantissime volte in questi ultimi anni, su questo piccolo aereo ad elica: la solita turbolenza poco prima di atterrare, sotto di me l'isola con le sue bellezze naturali ed il mare blu che brilla. In pochi minuti atterriamo sull'unica pista del modernissimo aeroporto di Lampedusa.

All'aeroporto viene a prendermi il mio collega che mi parla dell’ultimo drammatico naufragio e della presenza nel Cpsa dei sopravvissuti, uno di loro ha solo due anni. Mamma e figlio sono stati separati in mare durante i soccorsi perché Lili, la madre, era in fin di vita.

È in terapia intensiva all’ospedale di Palermo perché ha perso molto sangue a causa dell'aborto in Libia ed inoltre ha riportato gravissime ustioni sulla schiena e sul viso. I medici parlano di quaranta ore di osservazione prima di poter fare una diagnosi e considerarla fuori pericolo. Indosso la maglietta di servizio ed entriamo nel centro, saluto tutti i miei colleghi e corro a cercare subito il piccolo Mohamed, lo trovo in braccio ad un'operatrice dell'ente gestore la quale mi racconta che il piccolo non dorme la notte, ma piange, è molto nervoso e sfugge a tutti.

Ha accettato solo un carabiniere e lei, solo da loro si fa prendere in braccio. Mi chino su Mohamed e gli sorrido, ma la sua reazione mi lascia una profonda amarezza perché con gli occhi spenti e opachi, si è girato e non ha assolutamente voglia di sorridere, anzi è piuttosto arrabbiato ed ha una smorfia di dolore sul visetto scavato.

Decido di rispettare il suo isolamento e comincio a lavorare per lui insieme ai miei colleghi in Sicilia. Mohamed deve essere affidato al più presto ad una famiglia o ad una comunità perché il centro non è adatto per lui, per ora dorme nella stanza accanto all'infermeria in un luogo dove nulla è a portata di bimbo e dove c'è un continuo rumore e troppa disperazione.

Per tutta la mattinata sono presa dal lavoro e solo raramente incontro Mohamed il quale, puntualmente, mi gira le spalle se provo a sorridergli. La sera, uscendo dal centro lo vado a salutare per dargli la buona notte, lo trovo in braccio al “suo carabiniere” con un guanto monouso bianco gonfiato che per lui è un meraviglioso palloncino.

Mi avvicino per salutarlo da lontano, ma, con mia grande sorpresa, tende le braccia per buttarsi in braccio a me. Mentre lo tengo in braccio provo una forte tenerezza per questa piccola anima il cui futuro è totalmente incerto perché rischia di restare orfano. Lo prendo in braccio e lui mi guarda con quello sguardo tristissimo.

Dopo un po' comincia a rilassarsi, socchiude gli occhi ed io lo guardo pensando agli orrori che deve aver vissuto: deve aver visto la mamma tra le fiamme, deve aver sentito le urla delle persone durante il naufragio e mi chiedo cosa mai possa essere arrivato psicologicamente ad un bimbo così piccolo.

Ho un crampo al braccio, ma non mi muovo e lo lascio dormire perché nel sonno i suoi lineamenti si sono distesi e scopro con sollievo che sta prendendo le sembianze del visetto di ogni altro bimbo, le mascelle e gli zigomi si sono rilasciati. Il giorno dopo ho trovato un Mohamed più sereno, come se avesse sentito la mia telefonata con la collega che mi confermava che la madre era fuori pericolo e che, anche se dovrà effettuare numerose operazioni e dovrà restare in cura per molti mesi, tornerà da Mohamed.

A quel punto mi sono sentita più spensierata nel giocare con lui e siamo diventati grandi amici. Tutti nel Cpsa ora sono suoi fans, sta cominciando a dire le prime parole e ripete tutto quello che sente anche frasi in siciliano stretto che gli hanno insegnato gli operatori del centro. Io gli ho insegnato a dire "Ieia", il nomignolo con il quale mi chiamano i miei nipotini e lui ripete "Ieia Ieia" con la sua vocetta squillante.

Ormai ha la risata spensierata di ogni bambino ed è una gioia ascoltarla. Finalmente arriva la notizia che Mohamed può andare, sarà ricongiunto alla mamma che lo aspetta con ansia. Lui sarà affidato ad una comunità in attesa che la mamma si rimetta, ma non la vedrà finchè non le sarà recuperato il viso devastato dalle fiamme.

Lei lo vedrà da dietro uno specchio. Vado al centro per definire le ultime cose per il suo trasferimento, lo vedo in braccio all'assistente sociale. Lui ride ormai, è un bimbo simpatico con un caratterino sicuramente forte e non sa che sta andando via da questo posto tanto inadeguato, ma dove ha trovato tanto amore e gente che gli ha voluto davvero bene.

È arrivato il momento dei saluti e appena lo prendo in braccio, mentre lui mi afferra gli occhiali e mi stropiccia gli occhi a me scendono le lacrime, sono felice per lui ed al contempo preoccupata per il suo futuro.

Lavoriamo con i rifugiati e i migranti fin dalla sua fondazione, quasi un secolo fa, e oggi sta accompagnando i bambini durante il loro percorso migratorio: nei paesi di provenienza, di transito e di destinazione. In queste ultime settimane stiamo intervenendo in modo coordinato in più di 10 paesi con attività di accoglienza, assistenza sanitaria, legale e protezione per garantire a tutti loro, ma soprattutto ai bambini più vulnerabili, che questo percorso non sia un percorso di morte ma di speranza.

Abbiamo urgente bisogno di aiuto per poter rispondere alle esigenze dei bambini e delle loro famiglie in continuo aumento, sia nei paesi di origine che in quelli di destinazione.

Scopri come aiutarci a sostenere questi bambini in fuga

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