Le testimonianze di chi è riuscito a scappare dalla Libia
Il 2 novembre il Memorandum di intesa fra l’Italia e la Libia per la gestione dei flussi migratori firmato nel 2017, verrà rinnovato in modo automatico.
La Libia continua ad essere un paese frammentato e instabile, affetto da una guerra civile strisciante, che comporta difficoltà, oltre che per i civili libici, anche per i migranti, soprattutto per quelli intrappolati nei centri di detenzione in aree affette dal conflitto in corso, fra i quali si stima la presenza di almeno 1000 minori. Oltre alla guerra, nel Paese perdurano le violenze e gli abusi nei confronti dei migranti, sottoposti a detenzione arbitraria, tortura e riduzione in schiavitù.
Nelle attuali circostanze, la Libia non può essere considerato un Paese sicuro e i trasferimenti o i rimpatri di migranti, soprattutto se minorenni, nel Paese, condotti dalla guardia costiera libica o da qualsiasi altra autorità, li espongono ad inaccettabili violazioni dei diritti umani fondamentali. L’Italia e l’Europa non possono rimanere indifferenti di fronte alle testimonianze che arrivano dai centri di detenzione libici e devono compiere ogni sforzo per assicurare l’evacuazione immediata dei migranti e l’attivazione di corridoi umanitari.
Giovanna, nostra collega impegnata in frontiera sud ci ha raccontato ciò che ha visto con i suoi occhi condividendo con noi, le storie di chi è fuggito dalla Libia ed è sopravvissuto alla traversata del Mediterraneo.
“Eravamo appena tornati da Lampedusa, dove avevamo partecipato alle iniziative promosse nell’ambito della Giornata nazionale in memoria delle vittime dell’immigrazione, per ricordare le centinaia di persone annegate il 3 ottobre, l’11 ottobre del 2013 e le migliaia morte in questi ultimi 6 anni nel Mediterraneo, soprattutto centrale, per aver affidato la loro vita a trafficanti senza scrupoli, non avendo altre alternative alla ricerca di un futuro migliore, lontano da guerre, povertà estrema e da torture, incarcerazioni coatte e schiavitù in Libia.
Una beffa del destino ha mescolato la dimensione del passato e del presente, perché il 7 ottobre un altro naufragio si è verificato a poche miglia da Lampedusa. A bordo dell’imbarcazione c’erano molte donne e minori, alcuni dei quali non ce l’hanno fatta. Siamo tornati sull’Isola perché i nostri operatori potessero incontrare e sostenere i minori sopravvissuti.
Tra loro c’era una 16enne guineana, che ha lasciato il suo Paese all'insaputa della famiglia, perché “in Guinea la vita è difficile”, ha raggiunto un connazionale in Libia, che le ha procurato un lavoro in un ristorante.
Il ricordo di quei mesi è impresso sul suo volto terrorizzato. “Quando ho lasciato la Guinea mi aspettavo di trovare una situazione totalmente diversa. Poi quel "fratello" ha deciso di farmi partire e ha pagato per me il viaggio. Non ho avuto la possibilità di dire di no”. È partita di notte, il 5 ottobre 2019 “Non dimenticherò mai più quella notte, quel viaggio e quella paura”. Trema ancora al ricordo e mantiene lo sguardo basso mentre continua a raccontare: “Su quella barca di legno traballante ci hanno stipati su tre livelli, uno addosso all’altro, faceva molto freddo e le onde mi facevano venire la nausea. Il freddo era insopportabile, così un ragazzino ivoriano che avrà avuto 14 anni, seduto di fianco a me mi ha dato la sua giacca. Quando i trafficanti ci hanno fatto salire avevano detto che a bordo ci sarebbero stati acqua e cibo, ma non era vero e così quando siamo caduti in acqua nessuno aveva più forze. Quando la barca si è capovolta, io mi ci sono aggrappata con tutte le forze rimaste, un altro ragazzo si è aggrappato a me, poi mi sono sentita sollevare dalla giacca”. Era salva. Ma il suo pensiero corre subito verso quel ragazzino gentile che le aveva dato la giacca, e non riesce a trattenere le lacrime: “Lui non ce l’ha fatta”.
Il dolore e l’orrore li affida alla carta, disegnando le scene del naufragio. Poi prova a proiettarsi nel futuro: “Vorrei studiare musica e prendere un diploma, suono il pianoforte e mi piacerebbe diventare una musicista”.
Tra le tante testimonianze che i nostri operatori hanno raccolto in questi anni sul drammatico viaggio, a volte letale, e sugli orrori della permanenza in Libia, ce ne sono altre recenti di un gruppo di minori non accompagnati sbarcati a Pozzallo qualche giorno fa, la maggior parte dei quali proveniva dalla Somalia. Tra loro ce n’erano alcuni anche di 14 e 15 anni, che hanno riportato di aver trascorso circa 2-3 anni in Libia, in case private o in centri di detenzione nei pressi di Tripoli, di aver trascorso molto tempo in prigione e di essere usciti grazie al pagamento di un riscatto da parte dei propri familiari, che dovevano chiamare di fronte ai trafficanti, subendo violenze, per essere più convincenti mentre chiedevano il pagamento. Molti di questi adolescenti somali hanno riferito di aver provato a imbarcarsi più volte (fino a 4), ma di essere stati intercettati dalla Guardia Costiera Libica e di essere quindi stati trasferiti presso i centri di detenzione governativa.
Gli accordi stipulati 2 anni fa tra l’Italia e la Libia non hanno certo migliorato le condizioni di vita dei migranti, spesso giovanissimi, che di fatto rimangono bloccati per anni in centri di detenzione dove i loro diritti sono sistematicamente violati e dove conoscono torture, privazioni e dove spesso vedono morire familiari, amici o compagni di viaggio. La Libia non può in alcun modo essere considerata un Paese sicuro.