Le migrazioni tra numeri, falsi miti e diritti
Da troppi anni, il tema della migrazione si è spostato su un piano di polarizzazione delle posizioni, che trascura le analisi delle cause e la ricerca di soluzioni comuni, tornando alla ribalta del dibattito politico e delle cronache ogni volta che ci si trova di fronte all’ennesimo, drammatico, naufragio. Il 3 ottobre del 2013 a poche miglia da Lampedusa, le immagini del piccolo Aylan che giace senza vita sulla costa turca, fino alla più recente tragedia di Cutro, sono solo alcuni esempi di una realtà pressoché quotidiana.
Dopo l’indignazione e la commozione, si spegne l’attenzione e la questione migratoria ritorna nell’angolo, fino al successivo naufragio o all’ennesima polemica politica.
Ma la migrazione dei popoli è parte integrante della Storia ed è un fenomeno ancor più accentuato in un mondo sconvolto da crisi di portata globale, come l’emergenza climatica, i conflitti, le carestie, ma non solo. Si pensi alle continue violazioni dei diritti umani e alla povertà estrema. L’uomo migra dall’inizio della storia dell’umanità: basti pensare che oltre due milioni di anni fa i primi membri del genere “homo” si spostarono dall’Africa Sahariana verso l’Eurasia, in cerca di un luogo migliore dove insediarsi e prosperare, dove ci fosse acqua e cibo. Oggi li definiremmo “migranti economici”.
Di fronte a uno scenario caratterizzato dalla recrudescenza di alcuni conflitti, crisi climatica e profonde diseguaglianze in termini di opportunità e diritti, esacerbate dalla pandemia di Covid, milioni di persone sono spinte a cercare un luogo sicuro dove vivere e far crescere i propri figli.
I numeri della migrazione in Italia ed Europa dei minori stranieri non accompagnati
Nel 2021 sono stati 17.200 i minori non accompagnati registrati in arrivo nei Paesi di ingresso europei: Grecia, Italia (10.053), Bulgaria, Spagna, Cipro e Malta. I minori non accompagnati hanno rappresentato il 71% di tutti i minorenni, compresi quelli arrivati con le famiglie, che hanno fatto ingresso in Europa.
Il Mar Mediterraneo continua a essere una delle tratte più pericolose del mondo, attraverso la quale si consumano viaggi che purtroppo hanno troppo spesso un esito letale, come ricorda il rapporto Missing Migrants dell’Organizzazione internazionale per le Migrazioni (OIM) [1] secondo il quale, da inizio gennaio 2021 a fine ottobre 2022, 2.836 persone hanno perso la vita nel Mediterraneo Centrale, tra le coste africane e l’Italia. Molti di loro sono bambini, anche piccolissimi.
Entrare nell’Unione europea continua così ad essere una macabra lotteria, resa ancora più preoccupante dai quasi 100mila rintracci e ritorni forzati di adulti e minori effettuati dalla cosiddetta Guardia Costiera libica dal 2017 in poi per effetto del Memorandum Italia-Libia, rinnovato automaticamente il 2 novembre 2022.
Assicurare il soccorso in mare e le vie legali di accesso
Da qualche anno molti hanno teorizzato che la presenza di navi private, in particolare quelle delle ONG, sarebbero un cosiddetto “pull factor”, per cui i migranti sarebbero spinti a partire dalle coste del Nord Africa sapendo che ci sono navi pronte a salvarli e a portarli in Italia. Al momento non esistono studi che supportino la teoria secondo cui le navi Ong attirino le partenze dei migranti, anzi: secondo una ricerca pubblicata nel 2020, la presenza di navi umanitarie al largo del Nord Africa non influisce sulle partenze.[2]
Quest’ultime sembrano essere legate di più alle condizioni meteorologiche e all’instabilità politica della regione. Non c’è quindi nessun “taxi del mare”, come vennero definite le navi delle ONG qualche anno fa, ma semplicemente un’operazione di salvataggio in mare, doverosa, che supplisce alle lacune lasciate dopo la fine dell’operazione “Mare Nostrum”.
Nessun genitore metterebbe mai a rischio la vita di un figlio attraversando il mare o le montagne, se non sapesse che farlo rimanere nel paese d’origine e/o residenza è un pericolo molto più grande. Ma se le partenze, frutto di decisioni sofferte e difficili, sono spesso inevitabili, non lo sono invece i ripetuti naufragi. Serve un sistema strutturato, coordinato ed efficace di ricerca e soccorso in mare, possibile solo grazie ad un impegno diretto degli Stati membri e dell’Unione europea, che attraverso adeguate pattuglie marittime guidate dagli Stati e il supporto alle operazioni effettuate da navi private consenta il salvataggio e lo sbarco rapido in un porto sicuro.
Soccorrere in mare però non può essere l’unica soluzione: è fondamentale promuovere a livello di Unione europea politiche di accesso legale al territorio, che consentano di ridurre il rischio di morti e di traffico di esseri umani, favorendo una migrazione sicura e regolare. La sicurezza e la vita delle persone devono venire prima di tutto. È necessariofavorire il rafforzamento dei canali di ingresso legale esistenti, a partire dai ricongiungimenti familiari, e promuovere l’apertura di nuovi canali regolari di ingresso, come quelli per motivi di studio e lavoro, le evacuazioni e i corridoi umanitari da paesi in cui vi siano persone a rischio, includendovi i minori anche non accompagnati e le persone più vulnerabili.
Bisogna garantire che gli ingressi legali avvengano in tempi efficaci e rapidi, al fine di ridurre il rischio per i minori, soprattutto quelli non accompagnati, di finire nei circuiti dell’illegalità, dello sfruttamento e della tratta.
Garantire la relocation e la possibilità di spostarsi all’interno dell’UE
Occorre poi affrontare i nodi dentro l’Unione Europea: le migrazioni infatti non finiscono una volta che le persone hanno toccato il suolo nei paesi di sbarco o di primo ingresso nell’UE. La maggior parte di loro ha un progetto di vita strutturato ed è solo in transito verso altri paesi. Diventa fondamentale quindi superare il criterio del cosiddetto “paese di primo ingresso” (Regolamento c.d. di Dublino) ed approvare finalmente un meccanismo di solidarietà e di equa condivisione delle responsabilità, per evitare le conseguenze peggiori e molto diffuse delle attuali regole. Fra le questioni più critiche vi sono certamente i movimenti secondari fra le frontiere interne all’Unione Europea, che spesso coinvolgono i minori e determinano elevati rischi di tratta, sfruttamento e violenze.
Per contrastare questi rischi, si rivelerebbe utile promuovere presso gli Stati membri e le istituzioni dell’Unione europea l’adozione di un sistema strutturato, coordinato ed efficace di monitoraggio delle pratiche di frontiera, al fine di verificare il rispetto e la tutela dei diritti umani, tra cui i diritti dei minori, e perseguire le violazioni. Abbiamo denunciato più volte negli anni respingimenti illegali alle frontiere tra Stati membri, che mettono in particolare i minori a rischio. Non possiamo accettare che vi siano persone – spesso bambini e adolescenti - che perdono la vita perché l’unico modo di attraversare una frontiera dell’UE è scappare su montagne fredde e innevate, percorrere al buio della notte le rotaie di una ferrovia o nascondersi sotto un camion.
L'occasione per riscrivere le regole sulla condivisione delle responsabilità (e superare il c.d. Regolamento di Dublino) è adesso e non dovrebbe essere persa. L’Italia deve continuare a farsi promotrice, in Europa, di questa istanza.
L’accoglienza dei minori stranieri non accompagnati
Per chi riesce ad arrivare in Italia si apre poi la questione dell’accoglienza, un mondo variegato che non garantisce sempre risposte adeguate. In Italia i minori in accoglienza al 31/01/2023 che sono arrivati da soli, sono 19.333, in forte aumento rispetto al 2021 a causa della crisi umanitaria dell’Ucraina.
Negli ultimi 10 anni si è registrata una media annua più o meno regolare di circa 15mila presenze: giovani ragazzi e ragazze, a volte poco più che bambini, che hanno dovuto cancellare con un colpo di spugna la loro infanzia e la loro adolescenza e che non chiedono altro di essere messi nelle condizioni di costruire in Italia e in Europa il proprio futuro, dando il loro contributo alla società in cui crescono.
Il sistema di accoglienza italiano è stato però messo a dura prova: la permanenza presso le strutture di prima accoglienza, troppo poche sul territorio, si protrae spesso oltre i 30 giorni previsti per legge, generando difficoltà per i minori che vorrebbero intraprendere subito un percorso di integrazione. Per questo, per le reti criminali ben attive nel nostro Paese o anche per i tempi troppo lunghi della burocrazia italiana, molti minori si allontanano dalle strutture per raggiungere altre città o altri Paesi europei, con il rischio molto forte di tratta e sfruttamento.
Per proteggere questi giovani e garantire il rispetto dei loro diritti, cinque anni fa è stata adottata la legge 47, uno strumento normativo che ha regolato il sistema di protezione e accoglienza dei minorenni. Oggi è necessario dare piena attuazione alla legge 47 del 2017, garantendo la tutela dei diritti dei minori e intervenendo per rafforzare il sistema di accoglienza. I bei principi enunciati dalla legge non possono essere resi vani da pratiche territoriali difformi.
Il necessario impegno dell'Europa nei Paesi più colpiti da violenze e conflitti
Lo abbiamo detto più volte. Non possiamo pensare che la partenza di persone che fuggono da fame, guerra, violenza, carestie sia “fermata”, bloccando bambini e bambine, adolescenti e adulti, nelle condizioni di rischio in cui si trovano. Allo stesso tempo abbiamo il dovere di intervenire sulle cause che rendono quella di migrare una decisione non libera ma, in moltissimi casi, l’unica alternativa. La cooperazione internazionale allo sviluppo con i paesi partner è quindi fondamentale affinché quella di migrare non sia una scelta obbligata e che a minori e adolescenti siano garantiti il diritto alla protezione, alla salute, all’educazione e allo sviluppo, in condizioni di democrazia e libertà.
La soluzione non può essere fermare queste persone prima che prendano il mare: non possiamo delegare ad altri paesi, pagandoli, la responsabilità delle migrazioni, chiudendo gli occhi di fronte a palesi e gravissime violazioni dei diritti umani. Dobbiamo investire in maniera strutturale per debellare le cause che sono alla base di questi fenomeni migratori e prenderci, soprattutto l’Europa, la responsabilità di un tema che non può essere relegato a dibattito politico elettorale permanente, che strizza l’occhiolino a chi vuole ridurlo a “protezione delle frontiere”.
La comunità internazionale ha il dovere di impegnarsi per garantire pace, giustizia e stabilità nelle aree più colpite dalla violenza e dai conflitti e di cooperare con i paesi terzi per promuovere relazioni solidali e paritarie tra i popoli, fondate sui principi di interdipendenza e partenariato. È allo stesso tempo necessario affrontare in maniera decisa il tema dell’emergenza climatica, che sempre di più è il motore di fragilità e disuguaglianze. I paesi di origine, transito e destinazione dovrebbero lavorare insieme per sfruttare il potenziale della mobilità umana attraverso una strategia che tenga insieme migrazione e sviluppo, supportando economie inclusive, investendo nella migrazione sicura e regolare, ascoltando le voci dei più giovani e includendo le comunità di origine. La migrazione può e deve essere un’opportunità. Se la politica continuerà a chiudere gli occhi di fronte alla complessità delle sfide che questo tema pone, sarà un’occasione persa.
Il contenuto dell'articolo è stato scritto da Daniela Fatarella, Direttrice Generale di Save the Children Italia.
[1] OIM
[2] Cadmus